martedì 19 marzo 2013
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​Chi avrebbe potuto prevedere, solo all’inizio dell’anno, che la Chiesa cattolica fosse capace di segnare, in rapida successione, due salti storici come le dimissioni di un papa e l’investitura del primo pontefice americano? Per una istituzione di duemila anni, appesantita da problemi spinosi, segni potenti di vitalità. Ulteriormente rilanciati dai primi gesti di Francesco, che hanno confermato il cambio di passo. Per i critici, questi passaggi restano comunque inadeguati. E, forse anche per questo, è immediatamente scattato il dibattito sulla posizione "politica" di Jorge Mario Bergoglio. Conservatore, ma vicino ai poveri. Contrario ai matrimoni gay, ma vicino al cardinal Martini. Una lettura estrinseca – secondo l’asse innovazione-conservazione – per parlare di una istituzione che ha attraversato duemila anni di storia è, però, fuorviante. La differenza fondamentale sta nel fatto che il rinnovamento della Chiesa – quello propugnato da san Francesco d’Assisi e a cui, non a caso, il nuovo papa esplicitamente ha deciso di richiamarsi per raccogliere l’appello lanciato da Benedetto XVI nel momento in cui ha deciso di lasciare il Soglio – è sempre e fondamentalmente un ritorno alle origini. Un movimento molto diverso da quello che contraddistingue la modernità, che contrappone unilateralmente il passato al futuro, il vecchio al nuovo. Vedremo come si svilupperà, nei prossimi mesi, l’azione di papa Bergoglio. Come, cioè, tradurrà in decisioni di governo la sua volontà di rinnovamento. Intanto però, senza aver perso nemmeno un minuto, papa Francesco ha già reso esplicita la sua linea: il cambiamento fondamentale – già concretamente avviato – è quello di riportare una grande istituzione planetaria a parlare e agire più chiaramente con uno stile evangelico. Nei gesti, nelle parole, nei silenzi di questi primi giorni, i messaggi lanciati da Francesco sono stati inequivocabili.A prima vista, mettere in relazione la Chiesa di Gesù Cristo e uno stile personale può apparire fuori luogo. Quasi che questa associazione comporti una pericolosa estetizzazione della tradizione cristiana. Ma non è certo un caso che uno dei teologi gesuiti emergenti, Cristoph Theobald, da anni vada parlando di «cristianesimo come stile». Dove per stile non si intende un tratto superficiale, un modo di presentazione del sé, quanto piuttosto la capacità di "mettere in forma" gli elementi della realtà in modo da orientarla verso ciò che è essenziale. Inteso in questo senso, il cristianesimo – che è prima di tutto trasmissione della fede attraverso la testimonianza – non è riducibile né a un sistema dottrinale né a un apparato istituzionale. Al contrario, è proprio l’enfasi sulla fede – nel suo dialogo con la ragione – che rende il cristianesimo quello che è: un insieme di espressioni singolari e plurali, particolari e universali, relazionali e socio-politiche, capaci di stabilire un nesso flessibile tra una forma e un contenuto. È per questo che la Chiesa ha sempre avuto cura di narrare la vita dei santi. Ognuno dei quali è espressione di uno stile personalissimo di vivere il Vangelo. Dove la novità, l’innovazione, riesce a trovare un punto di dialogo con la tradizione. E dove l’originalità non è l’ossessione per l’invenzione autoreferenziale, quanto piuttosto la rivisitazione personale dell’origine, appunto. All’interno di questa prospettiva, innovare significa declinare in modo originale un messaggio che non è prescrittivo se non nel senso che definisce, come papa Francesco ha chiarito nella sua prima omelia, i termini di un movimento (camminare) che, mantenendo la sua apertura al futuro (costruire), riesce a non perdere il riferimento al passato (confessare). Il nome di questo movimento è fedeltà. Una parola che abbiamo perduto nel vocabolario contemporaneo perché, attratti come siamo dalla novità in quanto tale, immediatamente gli attribuiamo un senso di insopportabile imprigionamento. Nella prospettiva di Francesco, invece, la fedeltà consiste nella capacità di innovare ciò che si mantiene. Unendo così innovazione e conservazione. Georg Simmel direbbe che questa unione costituisce una delle vie possibili per trovare una soluzione a quel rebus impossibile della nostra condizione umana che consiste nel cercare di far convivere la vita – che è sempre eccedenza debordante – e la forma – che è poi il contenitore istituzionale o materiale della vita stessa.Ogni operazione stilistica, come annotava Merlau Ponty, è una metamorfosi del mondo. Per questo, nella migliore tradizione della Chiesa cattolica – che centra la sua visione sulla unicità di ogni persona umana – un papa che emerge con lo "stile" di Francesco è un fatto potentemente trasformativo, che scompagina le angustie del pensiero che riduce l’intera realtà all’asse innovazione-conservazione.
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