martedì 14 aprile 2009
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L’unica regola è che con i pirati non ci sono regole. Lo hanno dimostrato i tre successivi blitz compiuti dai reparti speciali francesi, l’ultimo (sanguinoso) per liberare l’equipaggio dello yacht Tanit. E anche l’incursione dei Navy Seals americani per portare in salvo il capitano Richard Philips. Azioni tutte autorizzate al massimo livello, con il via libera finale dato direttamente da Nicolas Sarkozy e Barack Obama. In una situazione di assenza di norme, o di autorità statali (come accade in Somalia) che abbiano reale giurisdizione oltre i quartieri centrali della capitale, parlare di ciò che è lecito e di ciò che non lo è risulta assai difficile. Quanto sta succedendo in questi giorni nel Golfo di Aden apre quindi interrogativi sul rispetto del diritto internazionale ma anche su quali siano i modi legittimi ed efficaci per risolvere la crisi, segnata da continui abbordaggi, che minaccia il traffico marittimo in un’area strategica per i rifornimenti energetici dell’Occidente. Un quesito che ci tocca da vicino, con i dieci connazionali membri dell’equipaggio del rimorchiatore Buccaneer ancora nelle mani dei corsari somali. L’armatore ravennate del natante ieri ha fatto nuovamente appello alle autorità italiane affinché evitino il ricorso alla forza. Il blitz peraltro comporterebbe rischi di perdite umane molto più elevati rispetto al colpo di mano compiuto dagli specialisti Usa contro i pirati che trattenevano il comandante statunitense. Basti pensare all’assalto francese che ha portato al rilascio di quattro prigionieri, ma pure alla morte di uno dei sequestrati, probabilmente ucciso da 'fuoco amico'. Al di là dell’elementare buonsenso che deve governare queste scelte, il problema è più profondo: le azioni manu militari infatti hanno anche lo scopo di dimostrare ai banditi che con Parigi o con Washington 'non si scherza' (benché possano provocare rappresaglie sugli altri ostaggi). Soprattutto Israele insegna che la storia è piena di tali 'risposte' dal duplice valore operativo e dissuasivo. La radice del problema non è però estirpabile in maniera episodica. Perché la situazione è ormai giunta a un punto di non ritorno. La logistica dei cosiddetti pirati – sebbene sia ormai più appropriato definirli una 'multinazionale del crimine' – ha raggiunto elevati livelli di sofisticazione. Centinaia di uomini, mezzi navali, armamenti moderni e basi di appoggio sicure; complicità e coperture a terra, legami sempre più evidenti con le milizie degli shabaab, i radicali islamici che fanno il bello e cattivo tempo in buona parte del territorio somalo. Non sorprende allora il dibattito che si sta sviluppando negli Stati Uniti. L’interventismo del presidente Obama, ieri salutato dal Washington Post come «una vittoria nella prima azione militare cui il presidente è stato chiamato», si limita all’emergenza immediata. Comprensibile dunque che da un lato il Pentagono stia studiando azioni militari più strutturate (con l’utilizzo della tecnologia degli aerei senza pilota che si sta sperimentando in Pakistan), e dall’altro il Dipartimento di Stato pensi a una strategia di maggiore coinvolgimento politico nella questione somala. In America è ancora vivo il ricordo della fallimentare operazione di pace Restore Hope (1992-94) e dei corpi dei marine trascinati come trofei per le strade polverose di Mogadiscio. Nonostante questo ieri è stato annunciato l’arrivo in città del deputato statunitense Donald Payne per un incontro con i vertici del nuovo governo: è la prima visita da quel lontano 1994 che segnò il disimpegno di Washington dal Corno d’Africa. Nel linguaggio della nuova Amministrazione il viaggio potrebbe essere un segnale, l’anticipazione di successive mosse diplomatiche più impegnative. Come è già accaduto in questi primi tre mesi del tandem Obama-Clinton: prima del 'disgelo' con Mosca furono diversi i deputati inviati in Russia; la scorsa settimana una delegazione del Congresso ha incontrato Fidel Castro a Cuba, e ora un parlamentare è arrivato nel cuore della 'no man’s land' africana. Spegnere, pur tra mille difficoltà, le cause del conflitto somalo vorrebbe dire limitare i suoi 'effetti', si chiamino pirati del Golfo o estremisti islamici delle Corti.
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