mercoledì 24 giugno 2009
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Il tema dell’immigrazione occupa prepotentemente le pagine della politica e della cronaca, continuando ad interrogare istituzioni, forze politiche e sociali e tutti noi su quali dovrebbero essere i comportamenti giusti da adottare e sollecitare. L’immigrazione sta diventando, secondo alcuni commentatori, una vera e propria 'mina'. Alberto Alesina si aspettava «in un periodo di forte recessione con disoccupazione in aumento... una vittoria della sinistra» alle elezioni europee e invece hanno vinto le destre, «in qualche caso xenofobe». La lettura che propone, partendo da questo dato, ci fa molto riflettere. In sostanza, questo è il suo pensiero, gli europei non sarebbero preoccupati tanto della crisi, per far fronte alla quale si affidano alle buone politiche di welfare state disponibili, «mentre ciò di cui sono veramente preoccupati è l’immigrazione». Ci vengono in mente, a tal proposito, le conclusioni cui giunge il politologo Angelo Panebianco che, muovendosi su un piano diverso e fornendo anch’egli un’analisi dell’aspettativa mancata di un successo elettorale della sinistra proprio nel momento in cui c’è un «ritorno trionfale dello Stato nella gestione dell’economia», argomenta questo esito elettorale sostenendo che le forze progressiste non riescono più ad essere in sintonia con le istanze rappresentative a causa del «carattere ormai irreversibilmente ’individualistico’ delle società europee». Insomma, al di là delle singole questioni e delle prospettive di analisi di volta in volta adottate, viene fuori un’Europa poco edificante che non può non lasciarci turbati. Mentre a livello politico è in crisi e minacciata da più parti, a livello sociale non sta meglio, popolata come è – almeno sembrerebbe – da cittadini rattrappiti su se stessi in cerca di perimetri da puntellare e cortili dove poter piantare il cartello 'vietato l’accesso'. Tutto questo, poi, succede mentre combattiamo una crisi con molti fronti ancora aperti che, lontana dall’essere vinta, ha reso ancora più evidente l’'interdipendenza' a tutti i livelli, e soprattutto fra le vite delle persone nella società, quale dimensione che qualifica questa epoca di trasformazione. Quella interdipendenza che, secondo il premio Nobel Amartya Sen, implica «obblighi reciproci connessi ai rapporti economici, politici e sociali», piuttosto che ritirate in disparte. Cosa fare allora? Dove attingere e indirizzare le forze per 'sciogliere' questi atteggiamenti rendendoli più distesi e meno rattrappiti? La recente assemblea generale dei vescovi italiani ha messo al centro della sua riflessione l’educazione, indicandola come «tema del decennio» e come strumento per costruire una «società multietnica, multiculturale e multireligiosa». Ci sono almeno quattro luoghi dove poter concretamente realizzare programmi per disinnescare la 'mina immigrazione'. Uno lo ha indicato la stessa Cei, chiedendo alle «parrocchie, all’interno del loro precipuo compito di evangelizzazione, di diventare luogo di integrazione sociale». La famiglia e le scuole sono indubbiamente altri due luoghi fondamentali, dove la testimonianza dell’accoglienza e una pedagogia fondata sul riconoscimento possono formare quella maturità culturale e spirituale adeguata a questo tempo. Il quarto luogo è costituito dal lavoro e dai suoi molteplici contesti. Integrazione e diversità si impongono come le nuove linee guida per improntare la cultura d’impresa e la gestione delle persone nelle organizzazioni. Non ci può essere 'ricostruzione del lavoro' che non passi per un programma di iniziative, investimenti e progetti di 'interiorizzazione' culturale e di 'sperimentazione' di questi valori e competenze anche nei contesti produttivi. Nessun settore escluso. Anche la pubblica amministrazione deve fare la sua parte fornendo occasioni ed opportunità per integrare, anziché farsi imbrigliare da quanti la vorrebbero impegnata nel 'riservare' posti di lavoro prioritariamente ai cittadini italiani. Il recente dibattito sul bando di concorso dell’Atm milanese e sulla possibilità di partecipazione ad esso di un extracomunitario ci ha mostrato che anche dalle nostre parti occorre lavorare sodo per non far prevalere comportamenti individualisti.
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