sabato 10 gennaio 2009
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Oltre la guerra. Sono troppe nelle ultime ore le voci che denunciano che a Gaza i feriti non vengono adeguatamente soccorsi, che morti e vivi sono lasciati insieme tra le macerie, come quei quattro bambini che – testimonia un operatore della Croce Rossa – sono stati trovati sfiniti dalla fame di giorni accanto alla madre morta, nella loro casa bombardata. Protesta la Croce Rossa Internazionale, parla l’Onu, il cui Alto Commissariato per i Diritti umani da Ginevra sollecita un’indagine per accertare se ci sono state violazioni del diritto internazionale, a Gaza. Parlano, semplicemente, le cifre: 235 degli 821 morti, bilancio di ieri, sono bambini. Oltre la guerra. La guerra, si sa, è intrinsecamente sanguinosa, è naturalmente annientatrice ( « Chi parte per la guerra, ha già perso » , diceva Giovanni Paolo II). E tuttavia può porsi, dentro un odio antico e tenace come quello che prolifera da decenni in Medio Oriente, la necessità di difendersi per sopravvivere, quella che Israele invoca, stretta con il suo piccolo territorio in mezzo a un oceano di Paesi ostili. In ogni caso, la guerra che quasi tutti deplorano nella realtà accade e deflagra. E allora si spara, con armi definite intelligenti; si sbaglia, talvolta di molto; si colpisce nel mucchio, e nel mucchio, magari usati come ostaggi, magari solo in cerca di un rifugio, i più deboli sono sempre tantissimi. Ma: fino a qui è la guerra. Feroce, furiosa nell’alzare il tiro contro ogni ombra che si muova, per piccola che quell’ombra sia. Dopo, però – quando le armi tacciono, quando il fumo delle macerie si dirada – quello che accade dopo dei feriti, dei morti, non è più propriamente ' guerra'. Nella tregua, per quanto breve e fragile, si lascia che i feriti siano soccorsi; nella tregua, quei bambini attaccati alla madre esanime dovevano essere portati via. Nella tregua si seppelliscono i morti: perfino gli eserciti dell’antichità si concedevano questo frammento misero di pace, dopo la battaglia. Oltre la guerra c’è un confine, e da ben prima che fosse scritto nel diritto internazionale: è già nella voce di Antigone, che contro la legge di Creonte dà sepoltura al fratello, pronta per questo a morire. Ecco, anche chi ha ben presente come sia stretta Israele in mezzo agli incombenti nemici non può – dalle voci degli osservatori che si levano da Gaza – non dubitare fortemente che questo confine, laggiù, sia stato superato. Qualcuno obietterà che il ' confine' a Gaza lo hanno polverizzato, quattro anni fa, quei militanti di Hamas che esibirono pubblicamente brandelli del corpi dei soldati nemici. È vero. Ma quello fu il gesto neobarbarico di palesi terroristi. L’esercito di Israele invece è l’esercito di un Paese democratico, nato nella tradizione della più antica fede monoteista. L’esercito d’Israele non può trascurare i feriti e i morti, senza mancare di rispetto a se stesso e alla sua storia, che poi è alla radice dell’Occidente cristiano. Certo, chi parte per la guerra ha già perso. Tuttavia la guerra si fa. Falliscono i tavoli e le grandi conferenze dove tutti ci si comporta da persone educate; si torna a casa e partono sferragliando i carri armati. La guerra è bestiale e atroce, sempre. Ma, c’è qualcosa perfino di peggiore. È quel confine, quel dopo: è l’alt intimato a un’ambulanza, e l’agonizzante abbandonato sulla strada; o i pianti ignorati di quattro bambini fra le macerie, stretti a una madre che non risponderà più.
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