venerdì 2 marzo 2012
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​Clima euforico nel mondo finanziario. Non tanto per il rimbalzo del mercato borsistico quanto per la manna distribuita, con una generosità che ha superato ogni previsione, dalla Banca centrale europea, guidata dall’italiano Mario Draghi, agli istituti di credito del Vecchio Continente. Ben 529 miliardi di euro che vanno a sommarsi ai 489 dello scorso dicembre. In pratica un migliaio tondo di miliardi con i quali le banche (incluse le nostre) si garantiscono per un triennio un’enorme liquidità. Pagando «appena», l’avverbio va sottolineato, l’1 per cento di interesse annuo. Scongiurando così ogni pericolo di fallimento.Che ne faranno le banche della pioggia miracolosa? In teoria, oltre a rimpolpare bilanci scarnificati da crediti di dubbia solvibilità, dovrebbero favorire il rilancio di un’economia zoppicante, concedendo prestiti alle aziende e ai consumatori. Dando benzina a un motore che batte in testa. In realtà, spiace rilevarlo, in prima battuta le banche paiono guardare ai propri interessi di bottega. Con i soldi piovuti da Francoforte vanno facendo incetta di titoli del debito pubblico sul quale, nel caso italiano, lucreranno robusti, sebbene calanti, tassi di interesse. Pagando insomma l’1 per cento su capitali che renderanno il triplo, il quadruplo.A goderne, non sono solo le banche. Anche gli Stati. Esemplifichiamo con l’Italia. Fino a inizio febbraio, per collocare i Btp decennali il Tesoro doveva garantire una cedola attorno al 7 per cento, con un differenziale (il famoso spread) di oltre 500; ovvero il 5 per cento in più rispetto agli analoghi titoli tedeschi. Ora, a spread dimezzato, il Tesoro non dovrà più svenarsi per collocare Btp, Cct, Bot. Per i risparmiatori (peraltro diradatisi) sarà quaresima; per le banche festa grande. Faville in Borsa.Intendiamoci, che le banche siano in sicurezza conforta. Ma, adesso, ci si attende che facciano la loro parte, agevolando con la manna piovuta dal cielo della Bce una ripresa altrimenti improbabile. Occorre dunque un supplemento di responsabilità del sistema creditizio, dopo stagioni di incertezza, di lesina nei confronti dell’economia reale. L’Italia che progetta e lavora non può attendere oltre, a meno di rischiare l’asfissia.Chiuso il capitolo delle buone notizie, s’apre quello delle cattive. La scorsa settimana, una sconfortante previsione: nel 2012, il Pil nazionale (Prodotto interno lordo), calerà fra l’1,2 e l’1,5 per cento rispetto al 2011. Ieri, le raggelanti statistiche sulla disoccupazione che ha toccato il record negativo del 9,2 per cento della forza lavoro, con una punta del 31,1 per cento fra i giovani. Le aziende ridimensionano, licenziano, e non assumono nell’attesa venga sciolto da governo, Parlamento e parti sociali, il nodo della riforma del lavoro.Vi è poi un terzo fattore ad angustiare le famiglie: l’inflazione. Fonte Istat, a febbraio il «carrello della spesa» ha subito un’impennata del 4,5 per cento su base annua. Trascinato da benzina, riscaldamento, alimentari, elettricità. All’opposto il potere d’acquisto è stato falcidiato dai nuovi prelievi fiscali, dal quasi azzeramento degli aumenti sulle pensioni. Mentre all’orizzonte si delinea una grandinata di imposte regionali e municipali. Deflazione nei redditi, inflazione nei prezzi. Gli esperti la definiscono stagflation, stagnazione dell’economia a prezzi crescenti. Brutto nome per un oscuro fenomeno che divide politici ed economisti: gli ottimisti pretendono sia «congiunturale», di breve periodo; i pessimisti paventano la gran crisi degli anni Trenta del secolo passato, annate di bibliche vacche magre.Un obiettivo è stato comunque raggiunto, e ne va dato atto al premier Mario Monti: il contagio greco è stato scongiurato, con i conti pubblici ormai quasi in sicurezza. Bene, se non fosse che milioni di famiglie boccheggiano. E a loro urge pensare, offrendo prospettive che non siano solo di lacrime e fragilità sempre più diffusa. Salvate le banche, che fanno pure il viso dell’arme per una norma andata loro di traverso, occorre insomma ridare speranza agli italiani. Alla gente comune, alle famiglie. La priorità è questa.
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