mercoledì 3 febbraio 2016
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Papa Francesco parla alla Cina di Xi Jinping e non solo. Lo fa attraverso il quotidiano online in lingua inglese Asia Times, che ha base a Hong Kong e proprietà israelo-statunitense, seguito dalle cancellerie e dalle diplomazie asiatiche. E certamente non è una scelta casuale: è un’intervista 'geopolitica' senza tuttavia entrare nelle questioni strettamente politiche, e senza volutamente occuparsi di ciò che riguarda la lunga e complessa vicenda delle relazioni tra Chiesa cattolica e autorità cinesi. Il suo è un messaggio tutto rivolto a mostrare la propria attenzione per l’antica cultura dalla «saggezza inesauribile» del popolo cinese, che è anche però quella di una nazione da un miliardo e 300 milioni di abitanti che negli ultimi vent’anni si è affermata sulla scena internazionale come attore geopolitico globale e con il quale tutte le economie mondiali non possono esimersi dal fare i conti. È la Cina che ha strappato alla povertà milioni di persone, la Cina delle contraddizioni che i limiti di uno sviluppo altrettanto repentino e strabiliate ha comportato, a partire dalle desolanti condizioni ambientali fino alla dipendenza dai meccanismi finanziari. Da qui si esplicita la doppia 'mission' specifica dell’intervista. Per un lato infatti il Papa non esita a entrare nelle contraddizioni e nelle 'questioni di fondo' che toccano i cinesi nel loro quotidiano: la rottura dei rapporti familiari tradizionali, la difficoltà a comprendere e a farsi comprendere dal resto del mondo, i sensi di colpa per esperienze tragiche del passato, la Rivoluzione Culturale e le scelte più recenti, come la 'politica del figlio unico', oggi in liquidazione, ed esorta il popolo cinese a trarre dalla propria storia le risorse per affrontare i problemi attuali. Dall’altro l’intenzione del Papa appare quella di indicare come questa crescita, che preoccupa alcuni settori della comunità internazionale, non comporti lo scatenarsi di nuovi conflitti. Think tank di matrice statunitense da tempo teorizzano la prospettiva a medio e lungo termine di uno scontro tra l’Occidente e la Cina. La posizione del Papa appare quella di favorire un’evoluzione del quadro internazionale nella quale la crescita della Cina non venga percepita come un pericolo ma come una risorsa. Non si tratta di trovare un equilibrio sulla base della contrapposizione ma di immaginare una visione multipolare del mondo in cui sia possibile convivere e collaborare per una crescita e una gestione della casa comune, come Francesco ha ampiamente esplicitato nella Laudato si’. Il Papa affronta così in maniera inedita la questione delle paure provocate dall’ascesa economico-geopolitica della Cina popolare: «La paura non è mai una buona consigliera», scandisce esorcizzando i presagi devastanti di futuri conflitti tra Cina e altre superpotenze globali. Non occorre temere né innescare alcuna «sfida», visto che ognuno «ha dentro di sé la capacità di trovare vie di coesistenza». E scommette su una Cina che possa offrire un contributo sempre più rilevante al consolidamento di equilibri di pace. «Il mondo occidentale, il mondo orientale, la Cina, tutti hanno la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza di farlo. Noi dobbiamo trovare la via. Sempre attraverso il dialogo, non c’è altra via». La via delle responsabilità condivise suggerita dal Papa non è quella della spartizione di interessi e di zone di influenza, sulla base di rapporti di forza: «Questo – sottolinea papa Francesco, con un richiamo storico quantomai eloquente – è ciò che è avvenuto a Yalta, e noi abbiamo visto i risultati». La prospettiva di Yalta era quella di «spartirsi la torta». Ma dividersela, come a Yalta, «significa dividere l’umanità e la cultura in piccoli pezzi. E la cultura e l’umanità non possono essere divise in piccoli pezzi», ripete Francesco con immagini incalzanti. Al contrario, nell’assunzione comune di responsabilità condivise, «la torta rimane intera, e si cammina insieme». La prospettiva suggerita dal Papa è dunque fuori dai dualismi, e in questo senso egli svincola anche se stesso e la Chiesa cattolica dalla posizione in cui alcuni vogliono ancora tenerli legati, sottraendosi allo schema di un Papa e una Chiesa 'cappellani' dell’Occidente. Tutte queste considerazioni rivolte alla Cina appaiono in sostanza un’applicazione concreta di ciò che è stata definita la «geopolitica della misericordia», la quale va al cuore dei problemi dei popoli e delle nazioni per favorire processi per il bene comune – che sfuggono alle logiche di schieramento non in nome di astratti 'neutralismi' o per garantire spazi di movimento ai propri tatticismi – e ha nella sua origine l’implicito affrancamento da tutti i disegni ideologici e culturali che definiscono e interpretano la Chiesa come realtà in stato perenne 'di conquista', impegnata nello sforzo di affermare egemonie e realizzare da se stessa la propria rilevanza nella storia.
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