mercoledì 12 ottobre 2016
No del Consiglio d'Europa all'utero in affitto: un bel giorno per tutte e tutti
COMMENTA E CONDIVIDI

Cinque no consecutivi possono bastare per una bocciatura senza più appello? L’indiscutibile soddisfazione per il successo di chi s’è battuto al Consiglio d’Europa sin dal primo voto in marzo contro il Rapporto De Sutter, che puntava a far legalizzare la maternità surrogata nei 47 Paesi membri, deve fare i conti con l’incredibile bizantinismo di un’estenuante procedura allestita per far passare a ogni costo l’inaccettabile testo della senatrice ambientalista belga, peraltro personalmente (e pubblicamente) interessata al mercato della surrogazione di maternità.

Così a quel primo, sorprendente ma perentorio rigetto di sette mesi fa si è riusciti a far seguire ben quattro altri confronti in commissione e in assemblea, come non dandosi pace per le ripetute battaglie perse quando si dava per scontata la conquista del nuovo "diritto" di comprarsi il figlio "prodotto" e "selezionato" con le caratteristiche prescelte e portato dal grembo a noleggio di una donna ridotta a fattrice.

Si è andati avanti da una battaglia all’altra, da una parte chi mai si è rassegnato davanti a ogni nuova sconfitta proponendo riscritture in sequenza del testo già respinto e aggrappandosi a sofismi apparentemente buonisti come i «diritti dei bambini» basati sull’accettazione del fatto compiuto, dall’altra la tenacia di un fronte cresciuto nel tempo e che nella delegazione italiana è stato a viso aperto e convintamente trasversale, dalle femministe a Fi, dal centrosinistra (Pd in primis) ai grillini. L’atto finale di ieri a Strasburgo ha visto un nuovo, faticoso ma limpido successo per quanti credono che l’utero in affitto – in qualunque forma, e senza eccezioni – sia incompatibile con la dignità della donna, la protezione dei bambini, con la stessa civiltà umana, certamente d’ora in avanti con quella europea.

Il fronte dei "legalizzatori", che già nel dicembre 2015 si era misurato con il netto rifiuto della surrogazione espresso dal Parlamento europeo nel voto dell’annuale Rapporto sui diritti umani, sembra essersi finalmente arreso nell’assemblea politica continentale, che si intendeva utilizzare per far entrare nelle legislazioni nazionali anche questa manomissione del diritto e del buon senso.

Ma la realtà, che spesso abbiamo raccontato e denunciato sulle nostre pagine, è lì ad avvertirci che per una disfatta politica – si può definire altrimenti l’ostinazione a farsi dire di no? – ci sono dieci risultati di tutt’altro tenore spuntati in giudizio. Diversi tribunali italiani – al pari di alcuni francesi, peraltro – fanno finta che non viga nell’ordinamento giuridico interno un chiaro divieto di maternità surrogata, chiudendo entrambi gli occhi «nell’interesse del minore» quando una coppia di nostri connazionali (eterosssuale od omosessuale) si presenta alla frontiera con un bebè commissionato a qualche clinica ucraina, indiana o russa e partorito da una donna affittata in Nord America o nel Sud del mondo.

Il doppio binario della surrogazione – stop politico europeo (oltre che legislativo italiano), via libera giudiziario nazionale – è da ieri ufficialmente un nodo intollerabile che va sciolto con urgenza anzitutto facendola finita con le sottigliezze e le ipocrisie che promuovono come esemplari casi del tutto aneddotici di surrogazione volontaria. Troppo a lungo si è tentato di mescolare le carte – come ha invano tentato di fare anche De Sutter – lavorando sulla presunta differenza tra utero in affitto "commerciale" e "gratuito". Ora almeno è chiaro che non si può giocare con la realtà: i contratti di maternità surrogata, quasi sempre dotati di una selva di clausole dal sapore schiavistico per la donna-incubatrice, hanno come protagonisti un bambino e una madre, geneticamente estranei ma inseparabili per la vita in forza di quei nove mesi di vita all’unisono.Nessun accordo può recidere questo legame naturale. Il tesoro e il segreto più prezioso della nostra umanità racchiuso nella generazione di una nuova vita e custodito dalla donna va rispettato senza sovrapporgli le astuzie imposte dal mercato dei desideri trasformati in pretese pagabili con bonifico bancario. L’Europa, che al quinto round dice no e basta, impone anche all’Italia di prendere una posizione chiara. Mozioni e ordini del giorno, pur nobili, non bastano più: è l’ora di un divieto chiaro e non aggirabile all’utero in affitto. Strasburgo, stavolta, ha indicato con lucidità e coraggio la buona strada.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: