L’amaro «no» alle profughe è già capovolto. La coscienza pesa
venerdì 28 ottobre 2016

Caro direttore,
ho letto con dolore delle dimostrazioni di diversi cittadini di Gorino contro l’accoglienza di dodici donne di cui una incinta. Lo spettacolo si può solo definire vergognoso per gli abitanti di quel paese e, conseguentemente, per noi tutti. Il loro comportamento mi ha fatto ricordare giorni tristi degli anni Cinquanta, il 14 novembre del 1951 in particolare, quando il Po esondò, invadendo quasi tutta la provincia di Rovigo. Allora dove siamo andati? Chi ci ha accolto? Oltre centomila persone sono state accolte per vari mesi nelle città di Bolzano, Milano, Torino, Como, Varese, Genova, Rimini, Riccione, Lecco e tante altre vicine e lontane. Andate a chiedere che ricordo hanno gli abitanti di quelle città di noi tutti “gli alluvionati del Polesine”. Eravamo allo stesso livello culturale ed economico di quelle persone che sono state rifiutate dai cittadini di Gorino. L’alluvione è stata per noi l’occasione per elevarci culturalmente ed economicamente. Non hanno pensato i cittadini di Goro che è solo sufficiente che la temperatura della Terra si innalzi di due gradi perché il livello delle acque dei mari cresca di qualche decimetro e forse il loro territorio assieme ad altri sparirà dalla carta geografica. Se mai dovesse accadere, speriamo che le popolazioni che saranno colpite da questa calamità trovino una classe dirigente ed un popolo pronto a comportarsi da uomini e donne, non a farsi strumentalizzare dalla politica.
Giuseppe Bezzi - Fiesso Ubertiano (Ro)


Caro direttore,
ho pensato e ripensato ai fatti di Gorino e a quando i profughi erano loro... Sono perciò andato a ripescare una copia del “Nuovo Diario”, settimanale della diocesi di Imola, del 24 novembre 1951. Da pochi giorni il Polesine era allagato. Nell’articolo «La generosità imolese» si può leggere che Imola aveva accolto circa 1.400 profughi da quelle terre alluvionate, e non glielo aveva imposto il prefetto.
Evaristo Campomori - Imola


Caro direttore
in merito alla rivolta degli abitanti di Gorino sarebbe meglio fermarsi a riflettere un attimo sull’uso dei termini di condanna usati. Ci sono fatti ben più gravi che meritano di essere definiti «rivoltanti» e «ripugnanti». Premesso che l’accoglienza, come la fede, si dovrebbe proporre e non imporre, esaminiamo i fatti: si inizia con un atto di forza da parte del prefetto che requisisce un ostello privato; non si informano i cittadini su chi sono e quanti sono i migranti: insomma niente dialogo, solo imposizioni. Qui si tratta semplicemente dell’incapacità delle istituzioni nel gestire il problema migratorio. I cittadini hanno il diritto di essere consultati e informati, perché la disinformazione crea paura e la paura spesso porta a reazioni esagerate. Io non esulto per il comportamento degli abitanti di Gorino, ma nemmeno me la sento di usare dei termini di condanna così forti. Le situazioni vanno sempre vissute in prima persona e giudicare da spettatori è sempre difficile. Mi preoccupa invece sentire con quanta facilità, oggi, ci si erge a giudici di fatti e persone.
Angela Rossi - Cuneo


Gentile direttore,
ma perché della popolazione vip di Capalbio che non ha voluto i migranti, e non li ha avuti, non parla più nessuno? Forse è meno razzista dei pescatori del delta del Po?
Tommaso Giannitrapani - Roma

Caro direttore,
nel Ferrarese, la sera di martedì 25 ottobre 2016 un manipolo di eroici cittadini ha respinto 12 donne immigrate, tra le quali una donna incinta all’8° mese. Dovevano essere accolte e ospitate sulla base di una decisione prefettizia d’emergenza nell’ambito del piano di distribuzione provvisoria dei rifugiati e richiedenti asilo. I garzoni hanno ottenuto ciò che volevano ed immancabili sono suonati i rallegramenti di quanti leggono gli attuale flussi migratori come un malanno da evitare. La televisione li ha ripresi mentre in gruppo compatto sopperivano al freddo e all’attesa con una bella grigliata. Questa era anche un modo per festeggiare il successo della loro personale rivolta. In un vassoio la comunità gestiva gustosi bocconi, mai certamente assaggiati dalle povere sventurate che sognavano un tetto. Le salsicce fumavano e solleticavano il palato dei rivoltosi, mentre il furgone veniva bloccato ed era costretto a dirottare. Un ricovero lo ha subito trovato soltanto la donna incinta, perché fortunatamente esiste ancora un limite all’insipienza e poi, televisivamente, non si può ancora buttare nei cassonetti una partoriente. Le altre compagne, dopo avere rischiato la vita nel deserto e nel mare, mentre già erano pronte ad abbracciare l’«accogliente» terra europea, hanno incontrato un muro di odio. Incredule, hanno detto soltanto: «Ma cosa abbiamo fatto?». In aggiunta, e ad ulteriore disdoro dei rivoltosi, una di esse ha mostrato a chi la interrogava le cicatrici delle torture subite nel corso della propria vicenda umana. Ci penso e ci ripenso e arrivo sempre alla stessa conclusione: questa “grigliata della vergogna”, aggiunge l’insulto all’insulto. Esprime il delirio di teste senza cervello. Raggiunge i livelli più infimi delle manifestazioni di un popolo-bue, prono alla più bieca propaganda xenofoba. Distrugge in un colpo secoli di faticosa evoluzione culturale e i valori della nostra civiltà cristiana. Non so quanto e come potrà dimenticarsi l’episodio, o potrà essere “convertito” nella coscienza di chi vede, osserva e riflette, ricordando cos’era, cosa oggi è e cosa sarà domani la nostra umanità da salvare in questa terra disfatta.
Ugo Paderi - Como


Hanno lasciato il segno i fatti di Gorino, quel “no” amaro, pregiudiziale, ringhioso che non doveva essere detto. E che, stando a quanto emerso in queste ore, al di là di qualche tenace e anche sorprendente intemperanza verbale, non verrà più detto. Perché molte delle persone che lo hanno scandito in faccia alle dodici giovani donne richiedenti asilo se ne sono subito pentite. Già, è passata presto l’euforia della rivolta casereccia avvolta nei fumi della grigliata di salsicce che mirava a travestirla nella “festa della libertà” dei nuovi sanculotti schierati «contro lo straniero» e uno «Stato oppressore». Ed è rimasto l’amaro sapore di quel “no”, insostenibile umanamente, civilmente e cristianamente. Insostenibile e ingiustificabile. Nessuno – soprattutto da queste colonne – osa farsi giudice degli altri. Ma non ci è consentito di dimenticare che sono le nostre azioni, od omissioni, che ci giudicano. Io non smetto mai di ricordarlo a me stesso, qualcuno davvero pensa che sia una favola?
Comunque sia, nel “caso Gorino” è di solare evidenza che nessun vero o presunto “errore di comunicazione” da parte delle autorità può spiegare e nobilitare la porta sbattuta in faccia a quelle dodici ragazze dalla pelle nera: donne sole, vulnerabili, offese più e più volte nel loro cammino per terra e per mare, segnate nel corpo e nell’anima dalle cicatrici di una migrazione per forza. E nessun altro caso di insopportabile e meschino rifiuto, a maggior ragione se di qualche vip in vacanza, può diventare alibi. Ci sono lettori che la pensano diversamente? Legittimo, anche se a mio parere, sbagliato. Perché, ripeto, l’errore è, è stato, e sarà sempre di chi dice, ha detto o dirà un qualche “no” precipitoso e duro in faccia al povero, al diverso, al forestiero. Prima o poi, ovviamente il peso di un tale “no” schiaccia e scaccia dalle comode certezze, dalle miopie tranquillizzanti. Perché ci si può intontire di chiacchiere, di ideologie o ubriacare di slogan politici, ma la coscienza sconti non ne fa. A nessuno. La coscienza rimorde. Quasi sempre – e anche stavolta è così, come diversi lettori sottolineano – aiutata dalla memoria. E persino se si urla e si insulta per non ascoltare, alla fine la coscienza vince. E se e quando non vince – purtroppo succede nelle vicende dell’umanità – sono guai, per tutti. Proprio per tutti.

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