martedì 21 maggio 2013
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Gentile direttore,
«Perché non dovrei pagare l’Imu?», è il titolo della lettera pubblicata su Avvenire dell’11 maggio, cui lei risponde giustamente che per giustizia e solidarietà sociale ognuno deve contribuire ai bisogni dello Stato e della collettività. Ma se io rivolto la frase in «Perché dovrei pagare l’Imu su una casa che non ho?» chi potrebbe darmi torto? Mi conceda, per favore, questo sfogo. Ho 70 anni, pensionato, due figli e da sempre vivo in affitto. Oggi sento continuamente parlare di Imu sulla prima casa – abolizione, riconferma, sospensione, ecc… –  mi viene un nervoso… Vorrei avere io una prima casa e pagare l’Imu, perciò smettiamola di prendere in giro chi una "prima" casa non se la può permettere. Sta a vedere che sono anche fortunato a non avere una casa mia? Poi, succede anche questo. Mia moglie "purtroppo" è proprietaria di una vecchia casa ereditata dai genitori, abitata da un suo fratello in comodato d’uso gratuito, in quanto senza reddito alcuno né di lavoro né di pensione, e per questo alloggio noi paghiamo l’Imu come seconda casa, per 253 euro annui, senza poterla abitare. Ma è mai possibile che a nessuno venga in mente che considerare seconda casa la prima e sola casa che si possiede è un’ingiustizia bella e buona? Sia chiaro, noi vogliamo pagare l’Imu, ma non su una seconda casa che non abbiamo.
Attilio Gerbaudo, Cuneo
Certo che la lascio sfogare, gentile signor Gerbaudo. E ci mancherebbe: siamo d’accordo, totalmente d’accordo. Il suo è un caso analogo, anche se non pienamente coincidente, a quelli di altri lettori ai quali ho già dato risposte che vanno nella direzione da lei auspicata. Se una famiglia possiede una sola casa e vive in affitto, è assurdo etichettare automaticamente quest’unica abitazione di proprietà come "seconda casa" e assoggettarla a un’imposizione aggravata. E questo è tanto più incredibile se tale abitazione è messa a disposizione, a titolo gratuito, di un parente stretto come un fratello o un figlio... Non è la prima volta che lo scriviamo sulle nostre pagine e io stesso, in casi analoghi sollevati da altri lettori, ho sottolineato che la stortura fiscale è evidente. Ma a volte ripetersi è utile o, almeno, dovrebbe esserlo. Perciò possiamo e dobbiamo augurarci, caro amico, che la revisione dell’Imu, che è stata avviata dal governo Letta e che dovrà concludersi entro il prossimo 31 agosto, sani anche questa ingiustizia. C’è un punto che vorrei, però, portare in evidenza: le tante voci di persone semplici, e non certo "ricche", che si confermano coscienziosamente disposte a pagare la loro quota di tasse e tributi. Questo è senso della cittadinanza, e questo è lo spirito che nella nostra Costituzione sorregge l’idea di equità scolpita nell’articolo 53: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Mi colpiscono molto queste amare eppure serene disponibilità a onorare i propri doveri, e spero che colpiscano anche i nostri politici e i nostri governanti e li spingano ad agire per il meglio. Nonostante un mix di arroganze, di scandali e di pessime rappresentazioni mediatiche induca a pensare il contrario, quella del signor Gerbaudo e di tantissimi altri è la vera Italia: una «realtà maggioritaria» che – come ha sottolineato ieri il presidente della Cei – è la forza «sana, seria e generosa» del Paese. E va rispettata, rappresentata e governata come merita. Cioè bene.
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