giovedì 29 agosto 2013
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Martin Luther King, al culmine dalla leggendaria Marcia su Washington, pronunciò il discorso "I have a dream", "Ho un sogno", che divenne uno dei momenti di massima autocoscienza e spinta creativa non solo dei neri d’America, non solo degli statunitensi, ma del mondo occidentale. Era il 28 agosto 1963 e il grande leader non violento parlava di un sogno in cui il Paese da lui e dai neri tanto amato, e che li opprimeva dopo aver fatto schiavi i loro antenati, sarebbe stato liberato dal razzismo e dalle ingiustizie sociali. Ricorrendo alla parola "sogno" nel titolo di un discorso, King si rivelava un uomo politico sui generis, un grande campione dello spirito, della razza dei Gandhi, per intenderci, con in più una visione poetica. King non parlava con il linguaggio dei politici, ma dei poeti, dei profeti, dei mistici, degli artisti. In quegli anni la parola "sogno" fluttuava nei lettori del grande poeta gallese Dylan Thomas (il cui nome fu assunto dal giovane cantautore Robert Zimmerman per divenire Bob Dylan), sogno era la dimensione della nuova musica beat e rock, il sogno animava la gioventù americana e quella inglese verso nuovi orizzonti umani, sociali, immaginativi. Con cadute, ingenuità, errori, ma una meravigliosa volontà di speranza e di vita. Nel resto del mondo quel sogno così virgineo e nudo fu vissuto di riflesso, per subito ideologizzarsi in Italia, Francia, Germania, passando dalle note oniriche dei Pink Floyd e dall’incanto di Neil Young al folle schematismo dei sessantotto europei, pieni di Lenin, Mao, libretti, diktat, omicidi e altre efferatezze. Nel jazz poi il sogno di Martin Luther King era una realtà vivente sin dalle origini: nulla rappresenta la potenza del sogno benefico, shakespeariano, nel Novecento, come il jazz di Miles Davis, Charlie Parker, Coltrane, Bud Powell, Max Roach, Sonny Rollins. Gli Usa sono cambiati, un vecchio collaboratore del leader assassinato afferma che se allora, cinquant’anni fa, gli avessero predetto un presidente nero, avrebbe pensato a discorsi di pazzi. Esiste ancora ingiustizia, sottolinea, violenza, troppe armi in libertà, troppi poveri, ma il sogno si è in buona parte avverato.Quando King faceva tremare la folla con il suo sogno, l’Italia aveva celebrato da sette anni, in tutto il territorio nazionale e massimamente a Torino, il centenario dell’Unità. C’ero, a "Italia 6", ne sono fiero e ringrazio ancora mio padre di avermici portato, una giornata piena e indimenticabile, dal mattino alla sera. Celebravamo, raccontava al figlio di nove anni, la grande avventura dell’unificazione nazionale, il sogno sognato dai nostri sommi poeti, Dante, Petrarca, Leopardi, Foscolo. Lì, da Torino, era nata la nazione che univa il Nord e il Sud d’Italia. Oggi, nel giorno in cui negli Stati Uniti si commemora il sogno di Martin Luther King, un politico ligure, piccolo e sconosciuto ma non isolato, paragona la Signora Ministra Kyenge a una prostituta, scrivendo che se la incontrasse la sistemerebbe, ma non la può incontrare, non frequentando quella strada, notoriamente popolata da meretrici, soprattutto di colore. Non si tratta solo di un piccolo politico di non so quale paese. Non è l’unico a insultare la nostra rappresentante colpevole di essere donna e nera. "Woman is the niger of the world", la donna è il Negro del mondo, cantava John Lennon. La signora Kyenge è tutte e due le cose. Per questo alcuni la vogliono distruggere. No, questa Italia che tollera simili parole e simili azioni, non è quella che sognarono i poeti e per cui tanti uomini morirono dal Risorgimento alla Resistenza. Questo non è un Paese da Sogni.
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