giovedì 8 gennaio 2009
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Israele ha diritto di esistere. La sua presenza sulla carta geografica – e nel tessuto vivo – del Medio Oriente non è provvisoria, come vorrebbero gli ideologi di Hamas e i loro sponsor iraniani. Non è nemmeno negoziabile, per parafrasare qualche recente polemica giornalistica tutta italiana. Non si tratta comunque di una discussione oziosa, perché almeno fino alla guerra dello Yom Kippur del 1973 (attacco di Egitto e Siria) la sussistenza fisica dello Stato ebraico è stata effettivamente preservata soltanto dalla superiorità del dispositivo bellico di Tel Aviv e della volontà di usarlo al meglio. E anche oggi, di fronte all’offensiva su Gaza, quando ci si interroga circa la necessità di una massiccia azione di terra per fare cessare i lanci di razzi contro i civili israeliani che risiedono a ridosso del confine, non manca chi faccia notare come fosse necessario rispondere allo stillicidio di attacchi, pena l’ammissione di inferiorità e l’implicito avallo a un’escalation di violenza alle proprie frontiere. Si completa il ragionamento affermando che qualunque operazione (provocata dalla rottura della tregua da parte araba) non poteva svolgersi senza qualche vittima inintenzionale tra la popolazione, soprattutto in considerazione del fatto che i miliziani fondamentalisti usano scudi umani o si nascondono in zone densamente abitate. E che vi è una grande differenza tra il colpire deliberatamente famiglie inermi con missili o bombe portate da kamikaze (non dimentichiamo che Hamas è responsabile anche di attentati suicidi) e involontariamente sparare su persone che si trovano nei pressi di bersagli legittimi. In tale dibattito si è parlato anche dell’atteggiamento del mondo cattolico – Santa Sede in primis – verso la questione mediorientale. E si è coinvolto Avvenire. La posizione di questo giornale è peraltro piuttosto chiara e non frutto di aggiustamenti dell’ultim’ora. Già nel luglio 2006, di fronte all’invasione israeliana del Sud del Libano – da dove piovevano razzi degli hezbollah – Vittorio E. Parsi scriveva su queste colonne, con coerente realismo, che «nel breve periodo, la forza è stato il solo strumento che ha consentito la sopravvivenza di Israele». Anche se, nel lungo periodo, «la forza militare non può garantire la sua sicurezza». Contestualmente, più volte si è ribadito il diritto dei palestinesi a creare un proprio Stato – vedendosi riconosciuta la sovranità su un territorio, la cui estensione fosse frutto di un negoziato – Stato capace di riconoscere il vicino ebraico e coesistere pacificamente con esso. In questa prospettiva, sono da condannare tutte le azioni violente e la propaganda intollerante di movimenti come Hamas. Tutto questo va declinato – è ovvio – nei contesti concreti di ogni minaccia. E i cattolici che danno incommensurabile valore a ogni vita umana e pensano che nessuna uccisione sia mai accettabile come puro strumento per un fine (fatta salva la legittima difesa) non possono non rimanere turbati di fronte alle decine e decine (forse centinaia) di madri e bambini rimaste uccise a Gaza. Così come lo sono di fronte ai morti nelle case di Sderot o negli autobus e nei ristoranti di Tel Aviv. Si parli o meno di 'proporzionalità' della risposta, non va interpretata come anti-israeliana (e tanto meno come anti-ebraica) ogni presa di posizione che inviti a un’ulteriore cautela nelle operazioni, a favore unicamente dei civili. Si pensi, ad esempio, al muro che circonda buona parte dei Territori: solo la parola evoca cupi scenari, di fatto arreca notevoli inconvenienti alla vita dei palestinesi, ha suscitato fiere proteste, ma ha quasi azzerato gli attentati suicidi. E, in quanto tale, è una misura difensiva che è difficile biasimare fintanto che kamikaze sono pronti ad arruolarsi nelle file del terrorismo. I cannoneggiamenti sulle scuole, il fosforo bianco e il lungo stop agli aiuti umanitari paiono invece rientrare nei mezzi che sono meglio modulabili. Si può ripiegare per un paio d’ore prima di far fuoco su un edificio diventato rifugio di sfollati, anche se da esso parte qualche colpo. Si può evitare di usare armi proibite in città. Si poteva consentire il transito di convogli per le forniture sanitarie d’emergenza. E se è possibile, in tali circostanze si deve farlo. Non pare un cedimento agli estremisti chiedere questo tipo di accortezze (che salvano vite umane). Senza scandali.
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