«Io, cittadina di serie F, vivo e scrivo da un pezzo d'Italia che l'Italia abbandona»
mercoledì 22 marzo 2017

Gentile direttore,

le scrivo perché all’inizio di luglio ci è stata recapitata una lettera generica delle Poste Italiane che ci comunicava che in alcuni paesi, tra cui la mia Mistretta, la posta sarebbe stata recapitata solo alcuni giorni, cinque giorni ogni quattordici e cioè: lunedì-mercoledì-venerdì una settimana e martedì-giovedì quella seguente.

Le Poste non sono isolate nell’impegno a mortificare la nostra comunità che si trova in provincia di Messina. Mistretta è situata sui Monti Nebrodi in Sicilia ed è nel cuore di un bacino di popolazione di 20mila abitanti, ma risulta marginale geograficamente ed economicamente rispetto ai grandi centri. Si trova in un territorio bellissimo, ma povero ed emarginato, ed è essa stessa una affascinante realtà urbana (che invito a visitare: www.mistretta.info). Da alcuni anni, però, si avvita in una crisi alla quale contribuiscono fortemente le scelte dei governi che si sono succeduti: (1) è stato chiuso il Tribunale (quello competente oggi è a 100 km di distanza); (2) è stata chiusa la Casa circondariale (un luogo che neanche i carcerati volevano lasciare, ma giudicato troppo piccolo); (3) è stato chiuso il punto nascita, e quello più vicino è ora a 45 chilometri, senza rianimazione; quello 'regolare', con reparto di rianimazione e più di mille parti all’anno, è a 100 chilometri; (4) è stato ridimensionato l’ospedale, che resiste solo perché è a servizio di una delle pochissime strutture regionali in cui si fa riabilitazione (fondazione Maugeri); (5) Mistretta ha subito una grave emorragia di posti di lavoro e in compenso non ha avuto niente. Ora si aggiungono le Poste Italiane a infierire.

I cittadini di questo territorio sono a tutti gli effetti cittadini di 'serie F' e se si ostinano a vivere qui dove sono nati non avranno più giustizia né sanità (se ci viene un infarto grave, siamo troppo distanti dai grandi Ospedali e dai Pronto soccorso; per nascere, siamo troppo distanti dai punti nascita con vie di comunicazione che sono quello che sono e completamente privi di mezzi pubblici per arrivarci) né lavoro né giornali in abbonamento... Il mio parroco ha scritto a tutti per denunciare questa ingiustizia che fa pagare la crisi ai più poveri, ma non ha trovato nessuno disposto ad ascoltare. Il movimento Effe251 (F251 identificativo del nostro Comune) ha protestato e continua a farlo, ma nessuno ci ha considerato e ci considera. So che il suo giornale dà ascolto e spazio a tante voci 'vere' e che nessuno vuole ascoltare, per questo mi rivolgo a lei. Ma servirà? Non lo so, siamo molto sfiduciati. Buon lavoro, direttore, cercherò di continuare ad acquistare 'Avvenire' in edicola...

Angela Maria Provenzale, cassintegrata, già ingegnere alla Fiat di Termini Imerese Mistretta (Me)


Lei, gentile e cara signora Provenzale, dice che ad “Avvenire” sappiamo dare «ascolto e spazio» a persone che hanno cose vere da dire e non vengono considerate da chi ha il potere e ne avrebbe il dovere. Ci proviamo, e sono consapevole che non ci riusciamo mai abbastanza. Sono perciò specialmente contento di poter dare oggi ascolto e spazio a questa sua lettera. Contento e molto, molto triste. Perché lei riesce a tratteggiare con dolente efficacia il quasi incredibile processo di abbandono di tante belle (e a lungo vitali) 'periferie' del nostro Paese. Un processo che è in corso ovunque, dal Piemonte alla Sicilia, ma in alcune zone del nostro Sud più che altrove. Un processo che se fosse frutto di una strategia, e so di dire a mia volta una cosa molto forte, sarebbe da denuncia per 'crimini contro la storia, la civiltà e le attività' della nostra gente. Non saprei dire se si tratti davvero di una strategia assurdamente autolesionista, frutto di vecchi e giustificati rimorsi di coscienza per le risorse per anni sprecate (o comunque investite male) e, insieme, di nuovi e cinici calcoli pseudo-efficientisti, ma so che la metodica rimozione da tanti territori della nostra Penisola e delle nostre Isole di servizi (scuola, sanità, giustizia, poste...) essenziali – autentici presìdi civici – sono la prova di uno sguardo desolatamente opaco su ciò che davvero serve, oggi, all’Italia e agli italiani per ritrovare slancio e fiducia. Spero che questa lettera sia letta e capita da politici attenti, o capaci di tornare a esserlo (e non solo perché tra undici mesi si vota per il nuovo Parlamento...), e dai nuovi manager di aziende (come Poste Italiane) che magari non sono più totalmente di Stato, ma sono ancora e sempre incaricate di pubblici servizi... Efficienza e buona amministrazione non possono e non devono produrre 'sfiducia' né far sentire tanti nostri connazionali 'cittadini di serie F'. Se accade, e purtroppo accade, vuol proprio dire – come si diceva un po’ sorridendo e un po’ no in un’Italia che aveva gran voglia di futuro – che «l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare».

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