sabato 25 maggio 2013
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In questi giorni si è parlato molto dei test Invalsi contestandoli per la pretesa di «misurare» qualcosa che non si può quantificare: la capacità critica di uno studente, la sua cultura, quello che solo il singolo insegnante può valutare. Si sono denigrate le prove Invalsi paragonandole a quiz capaci solo di testare la memoria, di prove astruse lontane dai programmi di scuola. Si è parlato di «attentato» alla libertà di insegnamento e alla necessaria personalizzazione del percorso educativo. Si è detto che non è corretto valutare la scuola solo partendo dai risultati in italiano e in matematica; si è parlato della volontà di creare una distinzione tra scuole di serie A e di serie B. Sono stati indetti scioperi in tutte le giornate in cui erano state fissate le prove. Perché tanta ostilità? Anche di fronte ai primi esiti delle prove Pisa si disse che erano quiz di tipo anglosassone, non adatte ai nostri ragazzi abituati a prove con un altro spessore culturale; salvo poi scoprire che alle domande più meccaniche i nostri studenti rispondevano bene, mentre alle domande aperte, in cui dovevano argomentare e dare pareri motivati, non rispondevano nemmeno. Penso che anche sul tema delle prove Invalsi serva un po’ di chiarezza e sia importante partire dai dati. Quando nel 2000 vennero pubblicati i risultati della prima indagine Pisa sulle competenze in matematica, scienze e lettura dei quindicenni, emerse il quadro di un Paese drammaticamente in fondo alle graduatorie internazionali e diviso profondamente tra Nord e Sud, con differenze enormi di risultati tra le tipologie di scuole superiori. Le prime rilevazioni degli apprendimenti in italiano e in matematica fatte dall’Invalsi a partire dal 2008 mostrarono che esistono anche differenze enormi di risultati tra gli istituti, e che queste differenze cominciano già nella primaria e si aggravano passando da un livello scolastico all’altro. Solo per fare un esempio, in seconda e quinta primaria la situazione, specie in matematica, è buona: nel Nord è pari alla media nazionale, mentre il Sud ha mediamente più 2,5 punti. Ma già nella prima classe della scuola secondaria di primo grado la situazione si capovolge, e mentre il Nord supera di oltre 6 punti percentuali la media, nel Sud si va sotto la media, per arrivare fino a oltre meno 15 punti nella classe terza del Sud-Isole. Questo significa che un bambino che parte come gli altri nella primaria, se ha la «sfortuna» di entrare nella scuola sbagliata e nella classe sbagliata, può essere fortemente penalizzato perché avrà un ritardo difficilmente colmabile. Ma senza queste rilevazioni non avremmo avuto potuto avere questa evidenza. Solo un altro esempio. Nella prova dell’esame di stato di terza media del 2011, al quesito: «Prendi un righello, misura i lati del triangolo e trova l’area», ha risposto in modo corretto solo il 30 per cento degli studenti. Può essere un dato significativo per i docenti di matematica? Sarebbe possibile avere questi elementi su una popolazione di quasi 600mila studenti senza prove esterne standardizzate? E se si facessero solo prove di tipo campionario, le singole scuole e le singole classi potrebbero avere un punto di riferimento esterno con cui paragonarsi? Com’è possibile sapere «dove» si è, senza avere un punto di paragone? Com’è possibile cambiare, se non si ha coscienza dei punti di forza e di debolezza? Le prove Invalsi sono costruite da docenti, tenendo conto delle indicazioni nazionali della scuola italiana. Possono dirci solo poche cose, ben delimitate ma molto importanti. Una prova d’italiano che verifica la competenza lessicale non potrà mai misurare la capacità di argomentare oralmente o di scrivere un testo né potrà mai sostituire la valutazione formativa che può fare l’insegnante, ogni giorno, in classe. Un test non potrà mai rilevare se in un istituto professionale alberghiero i ragazzi hanno imparato a fare bene i pasticcini, e sarebbe sbagliato valutare il lavoro che si fa in una scuola solo attraverso gli esiti di queste rilevazioni. Come giustamente è stato sostenuto anche dai sindacati, è solo allargando il set di indicatori presi in considerazione e coinvolgendo la scuola stessa, che si può avere un quadro completo delle singole scuole, ma questo non mette in discussione il valore di queste prove che sono state fatte in questi giorni e di cui avremo a luglio i primi dati. Penso, però, che i primi risultati siano già positivi visto che lo sciopero indetto contro le prove invalsi ha avuto adesioni sotto l’1 per cento nelle scuole primarie, sotto l’1,4 nelle scuole medie inferiori, e non ha raggiunto l’1 nelle scuole superiori. Sarebbe questa la «rivolta» contro i test?
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