martedì 3 marzo 2009
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Come ci interpellano le parole del Papa all’Angelus di domenica? E come si può tentare di declinare sul piano pratico quella «priorità da dare ai lavoratori e alle loro famiglie», che Benedetto XVI ha indicato con chiarezza? La risposta, com’è ovvio, non è semplice né univoca. Non ci sono ricette pronte da servire in tavola. Tuttavia ci sono almeno due indicazioni di metodo da cogliere, dalle quali si può trarre anche qualche conseguenza pratica. La prima pista indicata è che dalla crisi si esce «insieme». Meglio: «con il concorso di tutti». E dunque le diverse parti sociali sono chiamate a operare per un obiettivo comune privilegiando la collaborazione all’antagonismo. In maniera particolare, poi, vanno a ciò «incoraggiati autorità politiche e civili», nonché «gli imprenditori». L’ampiezza della crisi, il suo drammatico riflettersi sulla condizione materiale delle famiglie italiane e straniere, impone a tutti di rimettersi in discussione, evitando da un lato l’illusione dell’autosufficienza e dall’altro quella di limitarsi alla provocazione, magari utile, ma priva di un impegno conseguente. Non ultimo, c’è il richiamo alla particolarissima responsabilità che caratterizza in queste fasi gli imprenditori e i manager: l’impresa è anzitutto una comunità solidale e dunque nelle scelte deve sempre rimanere centrale la valutazione del destino delle persone, da anteporre anche alla più conveniente allocazione delle risorse. Sul piano concreto, il governo finora ha messo in campo una strategia basata sull’aumento delle risorse disponibili per la Cassa integrazione, che copre le grandi e medie imprese, e per gli interventi 'in deroga' che estendono tale copertura alle piccole aziende e al terziario. Una scelta giusta, che ha permesso di salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro e capacità produttiva. Finora ha funzionato bene. Finora. La prima ondata di crisi è passata facendo sostanzialmente danni limitati sul piano occupazionale, grazie al 'telone' steso sulle imprese. Dal prossimo semestre, però, il sistema potrebbe non essere più in grado di reggere le tensioni. Inoltre, resta il problema di tutti quei lavoratori – 3-4 milioni la stima – che non sono coperti dagli ammortizzatori sociali. Per costoro il governo ha previsto sì un’estensione dei sussidi – indennità di disoccupazione ridotta, assegno una tantum – ma si tratta di interventi tampone. Per qualche mese basteranno, ma poi? Sbaglierebbe dunque il governo a sottrarsi al confronto anche con l’opposizione sugli impegni per i prossimi mesi. Riaprire una stagione di scelte concertate non sarebbe un segno di debolezza quanto una prova di lungimiranza, se necessario anche ipotizzando contributi fiscali aggiuntivi sui redditi più alti e, quando torneranno a materializzarsi, sulle rendite finanziarie. Allo stesso tempo, però, l’opposizione dovrà arrivare al tavolo di confronto forte di una proposta che non suoni solo come il tentativo di mettere in difficoltà l’esecutivo, ma nella quale siano evidenziati i costi, le fonti attuali (non future) di finanziamento, i possibili punti di caduta sul piano sociale. Giusto proporre un assegno unico di disoccupazione, chiarendo però: se si è disposti a cancellare altre provvidenze (le lunghe casse integrazioni straordinarie, ad esempio); in base a quali criteri si selezionano i beneficiari (solo chi perde un lavoro e quale? Oppure gli inoccupati in senso lato?) e soprattutto dove si pensa di reperire le risorse necessarie (a deficit? o agendo sulla previdenza?). L’Italia soffre, oltre che di un debito spropositato, di ritardi e squilibri 'storici': non ha una politica di lotta alla povertà, di sostegno alle famiglie, né sussidi generalizzati. Il capitolo pensioni assorbe una quota eccessiva della spesa sociale. Pensare di colmare subito, durante una crisi così profonda, queste lacune sarebbe rischioso e probabilmente illusorio. Ma gettare le basi di un cambiamento con interventi graduali e mirati su ammortizzatori e previdenza può essere la strategia vincente. Se lo si fa insieme. Guardando alle persone.
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