venerdì 20 maggio 2016
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Q uando pensiamo al mondo digitale siamo tentati di considerarlo se non irreale, almeno non così vero e importante rispetto a quello reale in cui viviamo quando non siamo connessi. Non a caso sempre più spesso leggiamo e facciamo nostri appelli a vivere le relazioni interpersonali fuori dalla rete, sottintendendo che ciò che avviene on line ha in sé qualcosa di costruito se non addirittura di falso. Quali siano i rischi e la superficialità di alcuni rapporti nati nel mondo digitale, soprattutto attraverso i social, credo siano sotto gli occhi i tutti. Di converso penso però sia altrettanto vero che esistono rapporti molto superficiali anche nel cosiddetto mondo reale. Ho fatto questa premessa perché mi interessa condividere con voi una provocazione nella quale mi sono imbattuto in questi giorni e che mi ha fatto pensare. In buona sostanza diceva che i dati che lasciamo ogni giorno in rete, costruiscono nel tempo profili di noi utenti (se preferite, potete chiamarle identità on line ) ben più dettagliati di quanto sia possibile fare con le tracce (parole, azioni, comportamenti, scelte...) che lasciamo ogni giorno nella vita reale. In pratica, i dati digitali sanno più cose riguardo agli esseri umani di noi che magari con quegli uomini e con quelle donne interagiamo ogni giorno. In ogni istante infatti nella vita digitale vengono raccolte miliardi di informazioni che riguardano non solo i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni, i nostri comportamenti e le nostre scelte ma anche le nostre intenzioni, visto che sempre più programmi sono in grado di registrare i movimenti del mouse su uno schermo mentre navighiamo sul Web o a quante volte e come abbiamo reagito davanti ad una pubblicità on line. In alcuni casi, persino leggere un libro in versione digitale svela – calcolando, per esempio, la velocità di lettura – quanto una determinata parte del racconto ci abbia coinvolto e quali parti, invece, ci hanno magari deluso al punto di avere saltato alcune pagine. Sono solo piccoli esempi per cercare di farvi capire che la questione non riguarda solo la privacy come la intendiamo abitualmente (e che, sbagliando, pensiamo di poter risolvere con un’alzata di spalle e la frase «a me non importa, tanto non ho nulla da nascondere») ma qualcosa se possibile di ancora più grande. Le nostre identità on line non sono dei nostri surrogati, ma finiscono e finiranno sempre più per svelare di noi molte più cose di quanto possiamo immaginare, arrivando paradossalmente ad essere le nostre identità più ricercate e preziose perché più 'complete'. On line saremo valutati in base a quanti dati saremo in grado di produrre e quanto questi potranno essere utilizzati per le più svariate ricerche merceologiche e non solo. Il nostro valore saranno i dati. Per questo la privacy non è solo una questione di riservatezza, ma un bene pubblico al quale tutti noi dovremmo dedicare molta attenzione, chiedendo ai governi di proteggerla come merita davvero. Perché – come dice Emily Taylor, un’esperta di privacy e internet governance, membro della Global Commission on Internet Governance Research Advisory Network – «se ci dimentichiamo delle persone, rischiamo di scordarci del motivo principale per cui la tecnologia esiste». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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