sabato 7 settembre 2013
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Il decreto sulla scuola dovrebbe contenere delle misure per fare entrare nell’organico 'di diritto' delle scuole statali una parte consistente degli insegnanti di sostegno che ogni primo settembre vengono assunti a tempo determinato annuale. Ai non addetti ai lavori può sembrare strano, ma ogni anno nel passaggio dall’organico 'di diritto' (quello dei docenti a tempo indeterminato costruito sulla base delle iscrizioni di febbraio) all’organico 'di fatto' (quello che viene integrato ad agosto in base al numero dei posti che si sono resi disponibili; ad esempio, per congedi di maternità o comandi) sono più di 100mila gli insegnanti precari che prendono servizio a scuola. Su questa cifra complessiva pesano in modo determinante i 39mila insegnanti di sostegno che, essendo assegnati anno per anno, non possono garantire la continuità didattica a studenti che ne avrebbero assoluto bisogno. E quindi, ben venga il provvedimento del ministro. Ma la continuità didattica non basta.
Chi ha un figlio disabile sa che c’è molta differenza fra un docente in grado di sostenere veramente il percorso di crescita del figlio e un docente che 'accetta' quell’ incarico per poter fare punteggio e riuscire ad entrare di ruolo nella cattedra della sua disciplina. Nella questione degli insegnanti di sostegno emerge in modo evidentemente qual è il problema della scuola italiana: abbiamo una legge sulla disabilità all’avanguardia a livello internazionale, ma non abbiamo gli strumenti per applicarla al meglio. Non basta stabilizzare il personale per avere qualità. Al centro del nostro interesse ci deve essere lo studente. Come sono distribuiti sul territorio nazionale gli insegnanti di sostegno? Perché in alcune zone del Paese c’è un numero di insegnanti di sostegno per alunno disabile di gran lunga superiore alla media nazionale? Come garantire la continuità didattica e la valorizzazione delle diverse professionalità dei docenti? Come selezionare le persone che veramente desiderano dedicarsi a quei bambini e a quei ragazzi 'speciali', che possono dare moltissimo ai loro compagni, ma che, se non seguiti in modo adeguato, possono perdere tempo prezioso per la propria crescita? Dove è finita l’anagrafe della professionalità dei docenti che era stata avviata lo scorso anno?
Sapere che tipo di specializzazioni o esperienze un insegnante ha acquisito, potrebbe essere molto utile per assegnare un docente di sostegno con particolari competenze a studenti con particolari necessità e superare, almeno in questo, la strettoia delle attuali graduatorie, pensando anche ad assegnazioni stabili su reti di scuole. Quella della disabilità è una cartina tornasole non solo su come vengono formati, selezionati e valorizzati i docenti in Italia, ma anche sul tema della parità. Esistono 11.878 alunni disabili iscritti alle scuole paritarie, pari all’1,1% del milione di studenti che le frequentano (fonti Miur). Come tutti sanno, abbiamo una legge che riconosce alle scuole paritarie la possibilità di svolgere un servizio pubblico ed esiste un articolo 33 della Costituzione che chiede di dare un trattamento «equipollente» a chi frequenta scuole statali e scuole paritarie.
Come accade per i finanziamenti alle scuole paritarie, anche per le risorse statali destinate alla disabilità, esiste in Italia una piramide rovesciata: le scuole primarie convenzionate ricevono 806 euro l’anno per ogni ora settimanale di sostegno, ma da 5 anni l’importo non aumenta con l’aumentare del numero di ore necessarie. Per la scuola media e per quella superiore, poi, la situazione è paradossale: il contributo statale va da 300 a 2.000 euro l’anno ad alunno, a prescindere dalla gravità della diagnosi. Che tipo di sostegno si potrà mai dare a uno studente disabile con queste cifre? Sono certa che il ministro Carrozza si ricorderà che esistono anche questi 11.878 alunni.
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