giovedì 13 giugno 2013
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Le elezioni presidenziali iraniane che si svolgono domani segnano un ulteriore, forse decisivo passo verso la totale involuzione della Repubblica islamica. Il dibattito interno che si svolge sui canali ufficiali, quel poco di dibattito che è ancora consentito da una censura sempre più occhiuta e da una repressione sempre più spietata, è a dir poco surreale. Incredibilmente, infatti, i temi che riguardano le condizioni di vita – durissime e in costante peggioramento – dei cittadini iraniani non vengono affrontati o, quando lo sono, vengono sbrigativamente imputati all’«assedio» dell’Iran da parte della comunità internazionale. Omettendo però, o ricordandolo solo allo scopo di rivendicare i «diritti inalienabili del popolo iraniano», che sono innanzitutto i comportamenti opachi delle autorità di Teheran riguardo al programma nucleare ad aver fatto scattare il pluriennale regime di sanzioni internazionali nei confronti del Paese. Allo stesso tempo i temi della politica regionale, a cominciare dalla crisi del regime di Bashar Assad e dal coinvolgimento crescente del libanese Hezbollah nella guerra civile siriana, sono continuamente agitati, in un’esibizione tanto della Weltanschauugquasi imperiale della Repubblica iraniana quanto dello storico complesso di accerchiamento sciita da parte dell’islam sunnita e dei suoi “protettori occidentali”.Le elezioni arrivano in un frangente particolarmente difficile per il regime degli ayatollah, quando le difficoltà regionali e quelle domestiche sembrano saldarsi pericolosamente. Mai come ora la situazione economico–sociale è stata tanto disastrosa: inflazione alle stelle e crollo delle capacità di acquisto per un ceto medio sempre più impoverito e insofferente rispetto ai rituali stanchi della ierocrazia, obsolescenza drammatica del comparto industriale (compreso quello estrattivo e di raffinazione), disoccupazione alle stelle, complessiva atarassia dell’intero corpo sociale. Per molti aspetti l’Iran di oggi ricorda incredibilmente l’Unione Sovietica degli anni più cupi della stagnazione brezneviana: un Paese senza speranze e senza più fiducia, incapace di sollevarsi a seguito della spietata violenza con cui venne repressa quell’«onda verde» che anticipò, con esiti tragicamente opposti, le primavere arabe.È drammatico constatare la morte cerebrale, prima ancora che civile, di quelle università che per anni hanno rappresentato un faro di speranza e di eccellenza. La sfrontatezza e il senso di totale impunità con cui si muovono i “turbanti neri” e i loro accoliti si manifesta nell’accurata selezione con cui sono stati eliminati non solo i candidati riformisti (non ce n’erano), ma anche tutti quelli verso cui si rassegnava a convergere il favore dei settori liberali, riformisti e cosmopoliti della società. Si pensi alla sorte toccata all’ex presidente Rafsanjani, ma ancor più si veda come il favore dei liberali rischi di rappresentare “il bacio della morte” anche per la pattuglia di candidati ancora in lizza.Ma se il regime può ancora sperare, magari illudendosi, di sopravvivere al deterioramento della situazione interna, è l’aggravarsi di quella internazionale che potrebbe risultare ingestibile o fatale. Sono lontani secoli i fasti di appena tre anni fa, quando la nomina a Beirut di un governo controllato da Hezbollah sembrava dare concretezza a quella “mezzaluna sciita” che dal Golfo persico raggiungeva il Mediterraneo via Iraq e Siria: una mezzaluna che a Est si protendeva fino alla provincia afghana di Herat e lambiva Kabul, dove il presidente Kharzai non era insensibile alla possibilità di impiegare l’influenza siriana per bilanciare l’invadenza pakistana. Il regime di Assad è in grandi difficoltà, l’intesa con la Turchia di Erdogan è saltata quando Ankara ha scaricato l’ex alleato siriano, il Libano è sull’orlo di una guerra civile anche a causa del coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto siriano. Il ritiro di Isaf dall’Afghanistan potrebbe riportare gli arcinemici talebani alla guida del Paese confinante (e comunque incrementare il leverage pakistano sull’Afghanistan) e l’Iraq sciita vede una nuova recrudescenza del terrorismo sunnita. Nel frattempo, sauditi e qatarini sono i nuovi aspiranti all’egemonia del Levante…Un vero e proprio disastro strategico, un incubo, al quale l’ostinazione nucleare di Teheran potrebbe aggiungere la prospettiva di uno strike aereo devastante da parte di Israele e degli Stati Uniti… Prospettive inquietanti, insomma, per elezioni che sembrano tenersi sull’orlo di un baratro.
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