venerdì 9 agosto 2013
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La reazione c’è stata, ed è stata positiva. La legge di conversione del Decreto Lavoro approvata l’altro ieri in Parlamento prevede, tra l’altro, incentivi per assumere giovani a tempo indeterminato nei prossimi dodici mesi. Ebbene, secondo rilevazioni Unioncamere per il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, più di 190 mila imprese con meno di 50 collaboratori sarebbero disposte ad assumere utilizzando questa opportunità. È un piccolo segnale di fiducia che accompagna le recenti parole del ministro Saccomanni, secondo il quale nel nostro Paese la recessione sarebbe ormai agli sgoccioli con un Pil in flessione nel secondo trimestre solo dello 0,2%, rispetto allo 0,4% previsto, la produzione industriale in crescita dello 0,3% e il ricorso alla cassa integrazione che – luglio su giugno – diminuisce dell’11%. In questo contesto il dato Unioncamere è particolarmente importante perché molti si domandano se, confermati nei prossimi mesi dall’economia reale questi primi timidi segnali di ripresa, potremmo arrivare a un’inversione di tendenza dell’altro parametro critico, quello della disoccupazione, segnatamente di quella giovanile. In altre parole, il quesito non è più sulla ripartenza dell’economia che è data dai più come relativamente vicina, ma se essa sarà accompagnata o meno dalla creazione di posti di lavoro.
È evidente infatti che, se cominciare a registrare variabili economiche con il segno più non può che fare piacere a chi ha a cuore il bene comune del Paese, se questo avvenisse senza il contemporaneo riassorbimento di molti disoccupati e soprattutto l’immissione nel mercato del lavoro di giovani nuovi occupati, il disagio sociale a esso collegato permarrebbe. Qui le previsioni si dividono tra chi preconizza una crescita senza occupazione, come avvenuto in parte negli Stati Uniti degli anni Novanta, e chi al contrario vede queste due variabili ancora solidamente ancorate l’una all’altra. Con riferimento all’Italia, probabilmente le due prospettive sono destinate ad avverarsi entrambe, anche se non si capisce ancora con quale saldo finale. Nel caso di una sia pur minima ripresa economica, le aziende che avranno attraversato questi cinque anni di crisi continuando a insistere (per scelta o per vincolo) sul mercato interno torneranno a operare con più tranquillità, ma senza necessitare di nuove assunzioni. Per queste imprese, in generale, il prodotto ha un buon grado di maturità, il mercato è saturo e solo dalla tecnologia può derivare qualche innovazione: chi, tra queste, è sopravvissuto denotando grandi capacità di adattamento e di sacrificio riprenderà il viaggio con qualche sicurezza in più appresa nella traversata del deserto, ma difficilmente assumerà qualcuno se non per fare fronte a pensionamenti o uscite volontarie
 Al contrario – e i dati di Unioncamere lo confermano – chi da tempo si è rivolto, spesso con buoni risultati, ai mercati esteri e chi ha impostato una decisa politica tesa all’innovazione di prodotto o di tecnologia, in parte ha già concretizzato l’investimento fatto in anni passati con risultati economici positivi anche negli anni della Grande Crisi e, appena il contesto economico si consolidasse, potrebbe essere propenso ad aumentare le proprie dimensioni con nuove assunzioni.
Di sicuro, dunque, intervenire in questo frangente di incertezza, tra la notte e il giorno, con politiche incentivanti può fare anticipare il passo a chi lo già lo metteva nel conto e, forse, farlo prendere in considerazione a qualcuno che fino a quel momento nemmeno ci pensava. Altrettanto di sicuro, però, non c’è lavoro senza impresa e non c’è impresa senza imprenditore. Occorre quindi riconoscere questa figura nei suoi tratti distintivi, proporla come immagine positiva, forse la vera risorsa economica del nostro Paese, promuoverne la diffusione anche sapendo che non sono necessariamente le aule delle scuole superiori o delle università la fucina di tale professionalità. E allora in tema di occupazione l’altro dato positivo è quello relativo alla demografia delle imprese: nonostante vecchi impacci (burocratici e non solo), sono tuttora più quelle che nascono rispetto a quelle che cessano l’attività. Anche questo può essere effetto della crisi, ma è comunque un dato positivo.
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