sabato 31 agosto 2013
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Il premio Nobel e l’archistar, il direttore d’or­chestra e la ricercatrice. Eccoli, i senatori a vi­ta nominati ieri dal presidente Giorgio Napolita­no. Scelte che vogliono esprimere un segnale di cambiamento, peraltro evidente se si pensa che meno di due anni fa, nel concitato novembre del 2011, il capo dello Stato si rifece alle prerogative riservategli dall’articolo 59 della Costituzione per conferire una prima legittimazione istituzionale all’economista e premier in pectore Mario Mon­ti.
Con le designazioni di ieri si torna all’antico, e cioè all’idea che la carica di senatore a vita rico­nosca un’eccellenza di natura eminentemente civile, declinata «nel campo sociale, scientifico e letterario» (così, appunto, il dettato della Costi­tuzione). Nomi pensati per unire, insomma, e per ribadi­re l’importanza che il nostro Paese ancora rive­ste sulla scena internazionale. Spazzando via cer­te (irrealistiche) ipotesi della vigilia, secondo le quali il presidente della Repubblica avrebbe po­tuto servirsi di questo suo specifico potere per in­tervenire sull’ingarbugliata matassa politico-giu­diziaria, Napolitano è riuscito soltanto in parte nell’intento di rasserenare un clima che continua sotto molti aspetti a rimanere teso e di difficile de­cifrazione.
È come se, rivolgendosi quasi più al­l’esterno che all’interno, avesse voluto ribadire che l’Italia non è la «fidanzata in coma» cara alle semplificazioni cosmopolite, non è il Paese o­staggio di fazioni contrapposte che parrebbero consegnarla a una sorta di guerra fredda perma­nente o di strisciante conflitto civile. L’Italia è, semmai, una nazione capace di passione e di in­ventiva, generosa nella bellezza e sorprendente nell’innovazione. Con la stessa logica, in passa­to, erano stati nominati senatori a vita Eduardo De Filippo e Carlo Bo, Rita Levi-Montalcini e Nor­berto Bobbio, Leo Valiani e Sergio Pininfarina, ol­tre a due poeti dal destino apparentemente op­posto, il Nobel Eugenio Montale e il Nobel man­cato Mario Luzi (Montale, però, arrivò in Senato nel 1967, otto anni prima di essere laureato a Stoc­colma).
Le scelte di Napolitano vogliono andare in questa direzione, anche se non sembrano se­guire il criterio di ampia rappresentatività delle diverse tradizioni culturali al quale si erano sag­giamente attenuti i suoi predecessori. Difficile, in ogni caso, trovare qualcosa da ecce­pire sul valore di Carlo Rubbia, premiato dall’Ac­cademia di Svezia per i suoi studi sulla fisica del­le particelle, o sul prestigio di Renzo Piano, al qua­le si devono alcuni dei più importanti progetti ar­chitettonici degli ultimi decenni. Qualcuno, ma­gari, potrebbe approfittare del riconoscimento attribuito a Claudio Abbado per rinfocolare la tra­dizione, anch’essa tutta italiana, della sfida di­retta con l’altro grande maestro Riccardo Muti (da noi perfino la musica classica ha il suo Cop­pi e, di conseguenza, il suo Bartali).
Proprio la le­vatura di questa terna rende meno comprensibi­le l’inclusione della ricercatrice Elena Cattaneo, titolare di un curriculum internazionale dignito­so ma finora non strepitoso al cospetto di altre ec­cellenze della scienza italiana, e per di più anche aperta e “politica” contestatrice dei calibrati li­miti alla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali fissati dalla legge italiana. Certo, an­che in campo scientifico l’Italia ha bisogno di quello che il presidente del Consiglio Enrico Let­ta, riferendosi alla nomina della professoressa Cattaneo, ha definito «un messaggio di grande speranza». È tuttavia legittimo domandarsi se la scelta di una studiosa che non ha lesinato prese di posizione polemiche verso il nostro ordina­mento sia la più adatta a pacificare gli animi in una materia tanto delicata e decisiva come la bioetica. L’obiettivo del presidente Napolitano resta chiaro e condivisibile, ma rimane la sensa­zione che, purtroppo, non sia stato centrato in pieno.
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