domenica 26 aprile 2009
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L'impressione è quella di uno slittamento inesorabile, uno scivolare verso una miscela esiziale di radicalità estremista, violenze, anarchia, corruzione, rigurgiti anti­occidentali. Da anni, lo scenario politico e di sicurezza di Afghanistan e Pakistan (l’AfgPak, come ormai viene definito) volge al peggio, nonostante tutti gli sforzi della comunità internazionale e della Nato, che ha le proprie forze impegnate per combattere i taleban e per sostenere il governo di Kabul. Quanto in realtà preoccupa maggiormente non è tuttavia solo l’andamento insoddisfacente delle operazioni militari o gli attentati che periodicamente scuotono una fragile e incompleta democrazia. Le delusioni maggiori, le frustrazioni più dolorose vengono in realtà da un senso di fallimento più profondo. L’obiettivo dello sforzo militare, politico ed economico in quella regione non era solo 'distruttivo', ossia eliminare i terroristi di al-Qaeda e quelli talebani, bensì 'costruttivo': si puntava a far rinascere un Paese, sperando in una democrazia che potesse coniugare fede islamica, tradizioni tribali e sviluppo dei diritti delle minoranze e delle donne. Queste ultime sono infatti brutalmente penalizzate dalla visione dogmatica e integralista di certo islam e dalle consuetudini delle popolazioni tribali. Otto anni dopo, la realtà è ben diversa: al di là di alcuni diritti formali, la condizione della donna non è mai migliorata, come testimoniato dall’uccisione di attiviste, giornaliste, poetesse, e dal ritorno di una visione religiosa punitiva verso l’universo femminile (una visione che ha poco a che fare con l’islam e molto con le tradizioni dei Pashtun). In questi giorni, la norma che impone alle donne sposate di concedersi ai mariti – voluta dai partiti religiosi sciiti afgani proprio mentre il presidente Obama e la Nato si impegnavano per rilanciare la stabilizzazione dell’Afghanistan – ha suscitato sconcerto e amarezza in Occidente. Poco finora ha fatto il presidente Karzai, che punta a essere rieletto alle prossime elezioni e ha quindi bisogno di recuperare popolarità, visti i molti fallimenti e la corruzione del suo governo. E l’appoggio dei partiti islamici risulta fondamentale. Anche l’illusione coltivata che il nuovo Afghanistan 'contagiasse' positivamente i Paesi vicini, spingendoli a riforme politiche e sociali, si è trasformata in una tragica beffa. È ormai chiaro infatti che a infettare il vicino Pakistan è stato il peggio del vecchio Afghanistan – ossia i movimenti ispirati ai taleban. E non solo fra le popolazioni pashtun (questa etnia vive infatti a cavallo della frontiera): la crescita dei movimenti raducali islamici si è diffusa in tutte le altre province e, recentemente, è arrivata a minacciare la stessa capitale. Il nuovo governo legato al presidente Zardari ha dimostrato di essere ancora più debole e ambiguo nei confronti dei fondamentalisti rispetto al decennio di Musharraf: Islamabad di fatto ha abdicato a controllare intere aree del proprio territorio, permettendo l’imposizione di un’interpretazione fanatica della shari’a, la legge religiosa. «Una minaccia esistenziale alla sicurezza occidentale», questa è la percezione che si ha a Washington del problema. Non a caso, l’Amministrazione Obama ha invitato i presidenti Karzai e Zardari negli Usa per una visita comune, nonostante le rivalità e le differenze fra i due governi. Perché è sempre più evidente che per fermare questa spirale degenerativa occorrono maggiore coordinamento e maggiore chiarezza fra Kabul, Islamabad e la comunità internazionale. In Occidente, non si nutrono più molte illusioni verso l’AfgPak, ma per quanto il nostro sostegno non sia messo in discussione, sarebbe sbagliato smettere di battersi per chiedere il rispetto dei principi e dei valori in cui crediamo.
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