mercoledì 4 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Nel discorso con il quale lunedì ha aperto la campagna per il Sì al referendum istituzionale del prossimo autunno, il presidente del Consiglio ha preannunciato per la prossima settimana un nuovo voto di fiducia alla Camera sul cosiddetto ddl Cirinnà. Una previsione fatta «a naso», secondo le sue parole, che in realtà è suonata come la conferma di una decisione già per molti versi scontata. Non è un buon segnale né un buon viatico per la campagna referendaria. E se proprio Matteo Renzi vuole esercitare con frutto il suo fiuto, farebbe bene a riflettere ancora un po’ prima di procedere. Non è tanto l’aria di Montecitorio che merita di essere 'annusata' meglio. Si sa che alla Camera la maggioranza ha i numeri per far passare in ogni caso un provvedimento che, agli occhi di tantissimi italiani, nonostante alcune rilevanti correzioni e lo stralcio della stepchild adoption nelle coppie dello stesso sesso, resta viziato da ambiguità e finalità più o meno esplicite di sovrapposizione al matrimonio costituzionalmente definito. I temuti 'colpi di mano' a base di votazioni a scrutinio segreto sembrano più un pretesto che un’eventualità fondata. Alla già ampia maggioranza, infatti, si può essere certi che andranno ad aggiungersi, alla luce del sole o sotto banco, i consensi di quasi tutti i verdiniani e di non pochi forzitalici di provata fede laicista. Ma anche in caso di 'incidenti di percorso', che è difficile prevedere, demolitori del testo, non si capisce perché un eventuale terzo passaggio al Senato – dove verrebbero riesaminate soltanto le novità introdotte, mentre tutto il resto dell’articolato non potrebbe più subire modifiche – vada considerato come una iattura intollerabile. Siamo o no di fronte a una legge che innova istituti giuridici secolari e introduce novità di straordinario impatto sociale e culturale? E dunque perché questa smania di chiudere a ogni costo in tempi contingentati, con procedure ultra brevi e sedute mozzafiato? Il dibattito che almeno da un anno a questa parte si è acceso nel Paese, grazie anche alle manifestazioni di piazza di segno opposto (ma anche, ricordiamolo, di dimensioni significativamente diverse), hanno reso l’opinione pubblica abbastanza consapevole della posta in gioco. Ed è proprio l’aria che si respira tra la gente comune che andrebbe meglio considerata dai vertici di governo e della maggioranza, prima di far scattare nuovamente la tagliola del voto di fiducia. Perché molti di quegli stessi elettori ai quali fra pochi mesi si chiederà di confermare la 'grande riforma' della Costituzione sono tendenzialmente favorevoli a promuoverla, ma non condividono (alcuni tout court, altri nella forma che si profila) l’introduzione di qui a qualche giorno delle unioni civili. Soprattutto, di fronte a una forzatura ingiustificata come il voto di fiducia, per altro su una normativa che non è mai stata discussa nel patto di maggioranza (fondato piuttosto sui due capisaldi del risanamento economico e, per l’appunto, dell’aggiornamento istituzionale), non pochi di quegli elettori potrebbero essere indotti a cambiare parere anche sul referendum. Dal premier, poi, non verrebbe lanciato un buon segnale sull’uso che le future forze di governo – probabilissime minoranze trasformate in maggioranze dal premio di governabilità previsto dall’Italicum – potrebbero fare dei poteri rafforzati che le nuove regole in un sistema sostanzialmente monocamerale conferiscono loro. E per quanto si favoleggi sull’animo italico incline a farsi guidare da leader forti e più o meno carismatici, tanti nostri connazionali hanno ormai introiettato nel proprio dna una istintiva ripulsa contro le imposizioni dall’alto, la tendenza a stravincere, il dirigismo soprattutto su questioni di alto valore e di forte impatto etico e sociale.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: