Il dovere urgente di chi fa politica
martedì 14 aprile 2020

Sarebbe illusorio pensare che potrà essere una pur autorevole task force di esperti, come quella convocata dal governo, a colmare l’incapacità finora dimostrata dalla politica di rispondere a una voce sola alla sfida di una pandemia che ha colpito in pieno il nostro Paese e mette a dura prova il nostro sistema socioeconomico. Neanche la tregua pasquale ha interrotto il clima di contrapposizione, ora strisciante ora manifesta, pure fra diversi livelli istituzionali di “colore” diverso. Si salva solo la Presidenza della Repubblica. Proprio per questo non si può immaginare di tirare per la giacca l’arbitro (nel calcio è causa di espulsione) almanaccando su una presunta «ira di Mattarella» verso il premier e un'altrettanto improponibile «manina» del Quirinale intervenuta sulla nomina di Vittorio Colao o altri, essendone stato il Presidente solo informato in anticipo, come da galateo istituzionale. Le liturgie di questi giorni hanno invitato i credenti a pregare per chi ha grandi responsabilità da assolvere in questo momento. Un po’ di sensatezza e di cristiana carità dovrebbero indurre a maggiore indulgenza nei confronti di chi – si chiami Giuseppe Conte o Attilio Fontana – è chiamato a decisioni delicatissime per il futuro di tutti noi. Ha sbagliato il premier a tirare in ballo per nome i leader dell’opposizione in una comunicazione finalizzata a spiegare decisioni in arrivo? Certo. Ma si può per questo parlare di “dittatura” da parte di chi si è rivolto al presidente della Rai (che aveva di fatto “nominato” e che è ancora in sella) ottenendo di ripristinare in 24 ore la “par condicio”?

No, non sta in piedi, specie se solo qualche giorno prima gli stessi avevano “promosso” i pieni poteri assunti dal presidente ungherese Orbán. Cambiando scenario: è grave che un assessore della Lombardia scopra dopo un mese che la Regione aveva, per legge, i poteri per assumere in proprio interventi urgenti? Ovvio. Ma mettere, in tal modo, sotto accusa la Regione locomotiva d’Italia (teatro di uno straordinario impegno comune di istituzioni pubbliche, Forze armate, Terzo settore e operatori della sanità) sarebbe ingiusto e miope. L’Italia ce la farà solo se Lombardia e Veneto ed Emilia Romagna riprenderanno a correre, rilanciando l’intero Paese. Ecco allora che cosa deve intendersi per leale collaborazione istituzionale, e di tutti noi, nell’immane prova che abbiamo davanti: una gara di buone pratiche pubblico/private, senza aspettarsi dagli altri quel che si può e si deve iniziare a fare in proprio. Ben venga, quindi, il ruolo di apripista che il Veneto – nell’aggredire i primi focolai con la strategia più efficace e convincente – si ritaglia a spingere verso la “fase 2”. Che senso ha, invece, obiettare sulle prime timide aperture (per cartolerie e librerie) finalizzate a venire incontro alle famiglie, in razionale estensione con l’apertura di edicole e tabaccai? Semmai, tutti insieme, si tratta di farne il giusto uso, con guanti, mascherine e distanziamento sociale, sperando che fra qualche settimana il positivo esperimento possa allargarsi.

D’altronde è quel che ha chiesto anche il capo del principale partito d’opposizione, Matteo Salvini, al presidente Mattarella, che nel suo messaggio augurale ha auspicato una riapertura graduale, «non appena possibile». Il contrario della collaborazione sarebbe invece lo scaricabarile, e i piccoli dispetti, come ad esempio sull’erogazione della cassa integrazione, quasi lo scopo fosse buttare la colpa sugli altri e non favorire davvero l’afflusso dei fondi sui conti correnti di imprese e lavoratori a rischio collasso. In questo, l’Europa può e deve diventare un grande alleato, senza gli slogan di comodo sul Mes, sui tempi delle decisioni prese e via polemizzando. Le ricostruzioni di Giulio Tremonti sulla nascita del “Salva Stati”, e le analisi di Renato Brunetta ed Enrico Letta sulla sua “mutazione”, confermano che tale strumento osteggiato come il male assoluto nella propaganda, dentro e fuori la maggioranza, in realtà non è incompatibile con gli Eurobond o con altre «soluzioni innovative» e solidali invocate anche dal Papa nella benedizione pasquale Urbi et Orbi. Per uomini e donne di buona volontà, comunque collocati, c’è tanto da fare, in Italia e in Europa.

© Riproduzione riservata

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