venerdì 20 maggio 2016
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Cinquant’anni fa, don Giuseppe Dal Pozzo parroco di Taglio Corelli, provincia di Ravenna e diocesi di Faenza, inviava come lettera circolare a un elenco di amici un modesto ciclostilato. Vi si raccontava la ridotta vita religiosa di una comunità rurale della Romagna “rossa”. Si documentava, in particolare, un fenomeno inimmaginabile nel resto d’Italia e cioè la riduzione dei Sacramenti che oggi chiamiamo della “iniziazione cristiana” a episodi senza futuro. «Domani (il giorno della Cresima) – dicevano al parroco i bambini – sarà l’ultima volta che ci vediamo». Li avrebbe inghiottiti l’ateismo “di partito” che – intenzionalmente o no – non prevedeva per la vita adulta un rapporto con la Chiesa o la fede. Quei foglietti parrocchiali, all’epoca, crearono molta irritazione. Oggi non c’è più un partito che propugna l’ateismo, ma l’indifferenza religiosa è fenomeno culturale di massa. I preti scherzano amaramente sui cresimati che “spariscono”. Il teologo Armando Matteo ha descritto, senza provocare reazioni scandalizzate, la «prima generazione incredula». Giorgio De Simone (“Avvenire”, 27 febbraio 2016) ha esposto il caso di nonconoscenza religiosa riguardante un bambino di famiglia atea. In realtà, la stessa situazione si verifica in quasi tutte le famiglie non praticanti: se i genitori non si alimentano mai alle letture domenicali, il contatto con il linguaggio biblico ed evangelico si perde. Di quali mezzi disponiamo per contrastare questa situazione? Di due, in teoria: l’insegnamento della religione cattolica a scuola e il catechismo. Il primo dovrebbe fare cultura, il secondo formare alla fede. Ma è realmente così? La mia esperienza dice qualcosa di diverso. Bambini e ragazzi che frequentano il nostro catechismo provengono nella quasi totalità da famiglie non praticanti. Alcuni non sono battezzati, ma seguono gli amici e il buon clima che si respira nella nostra comunità catechistica. Qualcosa hanno ricavato dall’ora di religione, ma poco o nulla da esperienze religiose familiari. Nasce l’entusiasmo per la prima Comunione (degli altri) e qualcuno chiede per sé il Battesimo, che però non ha futuro quando il cammino non prosegue con il sostegno dei genitori. In questo quadro generale, è impossibile partire da una personale adesione di fede. I ragazzi possono invece seguire con interesse e profitto intellettuale le “sequenze narrative” del messaggio cristiano. Noi iniziamo con le figure e gli episodi evangelici più vicini all’infanzia, passiamo poi alle parabole e ai racconti di guarigione. Riserviamo un anno o due a ripercorrere la storia biblica antica, per ritornare (nella preadolescenza) ai discorsi più impegnativi di Gesù e finire con la nascita della Chiesa negli Atti. Ovvio che la nostra lettura sia in sintonia con la Tradizione e il Magistero, ma non possiamo dimenticare che si tratta di un primo annuncio, rivolto a degli eroici piccoli pagani, figli del web e dei videogiochi. Bisogna disporre di tempo (e noi abbiamo, attraverso il catechismo, una condivisione comunitaria di tre ore), ma chi ha recitato la parabola del servo spietato o la storia di Rut o l’incontro di Gesù con la samaritana, ne ha interiorizzato messaggi indelebili. Quest’anno Michele (famiglia non praticante) ha dichiarato che non si sentiva di prendere gli impegni della Cresima, ma ha frequentato fino all’ultimo giorno. Insuccesso o semina che in futuro porterà frutto? Noi siamo convinti che la nostra impostazione è corretta e, nello stesso tempo, che non possiamo sostituirci ai tempi di Dio. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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