Il dito, la luna e il contatore
giovedì 16 maggio 2019

«Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito». Forse è il proverbio orientale più conosciuto e amato in occidente. Ma non sempre, e non da tutti, davvero compreso. Oggi potremmo riscriverlo così: «Quando il dito del cardinale riavvia il contatore della luce, lo stolto guarda il dito». E in effetti è difficile resistere alla tentazione di guardare a chi agisce piuttosto che al perché e per chi. Perché mai un uomo di Dio, un sacerdote che fa il mestiere antico e generoso di «elemosiniere del Papa», diventa elettricista e ridà luce a un intero stabile? E come mai un uomo di carità, cioè un prete e un liturgista oggi cardinale, don Corrado Krajewski, che passa la vita a servire Dio e a sostenere e aiutare altri esseri umani a uscire da uno stato di difficoltà e di bisogno, si ritrova a calarsi in un pozzetto per ricollegare fili interrotti da quasi una settimana e “riaccendere” un edificio dove vivono circa 400 persone, tra loro cento bambini e una trentina anziani, alcuni bisognosi di elettricità per cure mediche quotidiane? Persone, sia chiaro, che nessun prete, vescovo o cardinale ha proclamato “santi”. Se vorranno esserlo, sarà una loro scelta.

Già, perché quel riallaccio? E come mai? Semplicemente perché nessun altro, proprio nessuno – per quanto cercato, interpellato e pregato – ha fatto sì che la luce a un intero stabile non venisse tolta e che – notte dopo notte – non fosse dato ingiusto spazio alla paura dei bimbi e all’angoscia dei vecchi. Quaranta, trenta o anche solo venti anni fa, in Italia, una cosa così non sarebbe accaduta e neppure sarebbe stata ipotizzata. Sarebbe stato impossibile pensare di poter “staccare” un condominio intero, abitato da centinaia di persone in carne e ossa, qualunque morosità e qualunque irregolarità accompagnasse quell’abitare di tanti e soprattutto se quelle stesse persone, certamente povere e “marginali”, ma certamente persone, si fossero dette – come stavolta era successo – pronte a pagare con giuste tariffe (domestiche) il dovuto. Sarebbe stato impossibile lo “strappo” e lo sfratto, se a quelle stesse persone non fosse stato contemporaneamente proposta una via d’uscita, e non solo la strada ma un tetto.

Proprio così, anni fa in Italia nessuno si sarebbe assunto la responsabilità morale e il peso materiale di un simile gesto, e quasi nessuno sarebbe stato pronto a dare cornice e legittimazione politica e mediatica a una tale iniziativa. E questo è un fatto. Duro e lancinante come un atto di accusa, amaro più delle polemiche scriteriate e dei rigorismi farisaici che oggi vanno per la maggiore. Le stesse polemiche e gli stessi slogan inflessibili armati e usati dai capi di agguerrite tifoserie che reclamano il diritto di fare debito a gogò coi soldi pubblici (lì la flessibilità diventa sovranità), ma non perdonano ai poveri di essere poveri e agli italiani poveri di non essere stranieri come altri disprezzatissimi poveri.

Un tempo, poi non così lontano, quello in cui molti di noi sono cresciuti, un tempo in cui in tanti abbiamo almeno imparato l’importanza della coerenza, dell’onestà e dell’umanità che spettano al cittadino e al cristiano, il clima civile e il sentire comune avrebbero fatto risuonare in maniera insopportabile quello “strappo” che ha fatto buio. Era, ed è, lo stesso clima civile e lo stesso sentire comune che facevano, e per tanti ancora fanno, vivere come una ferita e un abbandono ogni singolo caso di “distacco” ai danni di persone sole o di singole famiglie. Ne sappiamo qualcosa, anche qui ad “Avvenire”, dove da decenni attraverso la continua, piccola-grande mano tesa che chiamiamo «La voce di chi non ha voce» e l’iniziativa annuale a sostegno dell’«Obolo di San Pietro», cioè della carità del Papa, aiutiamo a collegarsi fraternamente generosità (quasi sempre anonima per il ricevente) e necessità di donne e uomini vivi e veri.

Ma ciò che anche noi facciamo son solo piccole gocce nel fiume di bene che, nonostante il clima e le raggelanti grandinate di parole e di atti ostili, continua a scorrere per il nostro Paese. E che le sorgenti più abbondanti del fiume di bene siano all’ombra dei campanili e nei cortili delle parrocchie non è un mistero per chi conosce appena un po’ la vita della gente. Ma un po’ di mistero in realtà c’è: quello per cui anche al tempo della filantropia esibita e persino ostentata, la gente di Chiesa – dall’elemosiniere del Papa ai volontari della Caritas – fa e non sbandiera, trova e non trattiene, dà e non rivendica.

C’è voluto il clamore assurdo di insulti e mistificazioni e assurdità – come quelle a proposito delle “case del Vaticano” smontate ieri, dati alla mano, da Mimmo Muolo su queste pagine (e in un libro che ha appena dato alle stampe) o sull’«arroganza della beneficenza» vaticana – per far “scoprire” che solo lo scorso anno, tra le altre cose, l’elemosiniere del Papa ha silenziosamente pagato tre milioni e mezzo di bollette, e medicine e affitti per chi soprattutto in Italia non riusciva a farlo. Non basta. Non basta mai.

Ma accade. E il dito che ha riavviato il contatore e riacceso la luce, in quell’edificio romano nei pressi di Santa Croce in Gerusalemme, indica non se stesso e il debito in soldi da onorare (anche se impegno della Chiesa e doveri di ognuno ci sono), ma l’energia giusta che manca a questa politica e che parte di questa politica, quella che a tratti sembra avere più successo, disprezza e accusa di interessato abusivismo. La solidarietà ridotta a energia abusiva d’Italia. Quel dito, persino oltre le intenzioni semplicemente buone di don Corrado, indica insomma l’energia (e la responsabilità) che comincia a scarseggiare in parte dell’opinione pubblica e che si vorrebbe far sparire dalla nostra società. È questo il deficit di decenza morale, di umanità politica e di saggia amministrazione, che non possiamo e non dobbiamo permetterci.

P.S. Ieri un giornale, lo stesso che lo scorso marzo insolentì il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha fatto un titolo «Il bullismo del cardinale» accostando a queste parole il volto del segretario di Stato di papa Francesco, Pietro Parolin, e nel testo prendendosela con veemenza con un altro cardinale ancora, manco a dirlo l’elemosiniere pontificio Krajewski. Firma, stile e scrittura sono le stesse di allora. Criticare è lecito, obiettare è un diritto, la mancanza di rispetto non solo e non tanto delle leggi formali, ma delle persone è però l’esempio più duro della prepotenza. Tutti sanno che cos’è il bullismo: è attaccare chi non replica mai a violenza con violenza. Chi l’avesse dimenticato, ha avuto modo di vedere questa pratica sulla prima pagina di “Libero”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI