Il Natale, la zona rossa e il vaccino: senso e risposta è solo la solidarietà
sabato 19 dicembre 2020

Caro direttore,
che a Natale l’Italia sia “zona rossa” striata di “arancione” per così tanti giorni è certamente una questione seria, ma ristabiliamo il valore delle cose e facciamolo presto. È una questione importante, ma vi è qualcosa di più importante ancora che ci sfuggirà se ci concentreremo sulla analisi più o meno di maniera su questa o quella decisione di governo. A furia di discutere sui dpcm, che sono tutti imperfetti, rischiamo di perderci il senso del Natale, di questo Natale. E cioè che, dentro le condizioni della pandemia, Gesù viene e porta ciò di cui abbiamo bisogno: la salvezza della nostra umanità. Gesù non porta un dpcm perfetto, ma la possibilità per ogni uomo di essere felice!
Gianni Mereghetti

Caro direttore,
la mia generazione (ho 76 anni) è stata quella più fortunata non solo dell’ultimo, ma degli ultimi secoli. Siamo i figli del boom economico. Abbiamo avuto una vita agiata e ora con i nostri risparmi ci stiamo godendo l’ultima fase della nostra vita. Leggo che 100mila aziende hanno già chiuso causando oltre 1,5 milioni di nuovi disoccupati, che il Pil è sceso di oltre il 10%, che il debito pubblico ha superato il 150%... Una catastrofe e il Paese avrà bisogno di decenni per risollevarsi. I morti hanno superato la soglia dei 67mila, ma la quasi totalità aveva più o meno la mia età. Lo sforzo del Paese per salvare la mia generazione è stato enorme. C’era proprio bisogno di far fare al Paese tutti questi sacrifici? Invece di bloccare tutto il Paese, perché non sono stati bloccati soltanto i più vulnerabili, ossia quelli della mia generazione che, fra l’altro volendo continuare a vivere, sono più disposti a fare qualche sacrificio? Sarebbe un nostro piccolo risarcimento per i tanti debiti che lasciamo in dote non solo ai figli, ma anche ai nipoti. Buon Natale a tutti.
Virgilio Avato

Gentile direttore,
comincio con un citazione dalla rubrica «Senza rete» di mercoledì 16 dicembre affidata a Mauro Berruto. «Se traduciamo in termini di salute pubblica il precetto evangelico dell’amare il prossimo come se stessi – ha annotato Berruto –, oggi tutto ciò significa vaccinarsi e il prima possibile. Non c’è nulla di più vicino allo spirito del Natale: nascere fisicamente e rinascere spiritualmente. Vedere gli operatori sanitari, gli anziani, i più fragili vaccinarsi magari nel giorno stesso del Natale ne sono certo, renderebbe felice anche il nostro Bambino Gesù». Nella mia ingenuità non trovo nel Vangelo alcun accenno alle vaccinazioni e neppure alla salute pubblica… Anche a volerlo attualizzare, capisco che qualcuno possa vivere la vaccinazione come un segno d’amore per gli altri, ma sono perplesso nei confronti di chi tira per la giacchetta l’insegnamento di Gesù a sostegno delle proprie idee e visioni del mondo. Soprattutto, per quanto onestamente mi sforzi, non vedo come la vaccinazione ci possa fare nascere fisicamente, ho sempre praticato un altro metodo e penso che anche gli altri abbiano fatto come me; neppure immagino come possa farci rinascere spiritualmente, quasi un novello battesimo, a meno che “rinascita” significhi adesione all’ideologia – in questo periodo progressivamente sempre più dominante – dell’uomo come un corpo sano, tesi che sa piuttosto di positivismo che di metafisico. Quel che renderebbe felice il “Bambin Gesù”, a mio parere, sono altre cose oggi piuttosto trascurate dal mainstream viruscentrico e ce le dice lui stesso: accogliere gli stranieri che oggi muoiono nei campi profughi, aprire le carceri a chi vuole visitare i detenuti, curare gli ammalati invece di isolarli e considerarli scarti... Con affetto e un augurio di buon Natale.
Carlo Tresso


Tre lettere assai diverse, e diversamente belle, che ognuna a proprio modo ruotano attorno ai sentimenti, alle attese, alle occasioni e alle intenzioni di vita buona legate al Natale di Cristo – che celebriamo il 25 dicembre di ogni anno per tradizione amata da tanti (così come da tanti altri “svuotata” del suo contenuto più vero). Mi piace lasciarle parlare insieme, con i loro diversi accenti. La prima, dell’amico professor Mereghetti, in sintonia profonda con la cronaca che facciamo e le opinioni che esprimiamo su “Avvenire” ci aiuta a vedere la relatività delle misure che sono state assunte per contrastare la pandemia e per frenarne la diffusione. Lungo questo anno 2020 abbiamo dolorosamente imparato, anche se tendiamo a dimenticarlo, che i troppi morti di oggi sono anche frutto di imprudenze, imprevidenze e irresponsabilità di appena ieri, eppure tendiamo a ripetere l’errore. Saremmo davvero felici se nel nome di un “liberi tutti” festaiolo (non davvero festante!) ci ritrovassimo a gennaio a continuare la terribile litania delle centinaia e centinaia di morti quotidiani a causa del Covid-19? No, proprio no. Lo penso e lo voglio credere fermamente.
Un pensiero che mi introduce alla rapida annotazione sulla generosa disponibilità del signor Avato, motivato e pronto a un proprio “sacrificio” da anziano pur di rimettere in moto il Paese. Servirebbe che solo i più vecchi tra noi fossero chiamati a rinunciare interamente alla libertà di movimento e di incontro? No, proprio no. Tantissimi tra i “nonni d’Italia” (sono entrato anch’io nella categoria), già si autolimitano saggiamente per prudenza e solidarietà, ma questo non basta. Perché le vittime del Covid sono certamente più frequenti tra gli anziani, ma – checché se ne dica – non sono affatto soltanto anziani. E, poi, se i morti di Covid invece che più di 68mila, fossero come in Germania circa 25mila saremmo forse meno feriti e meno tenuti a contenere la tragedia? E quali effetti letali ulteriori avrebbe il possibile maggior movimento di più giovani e di meno anziani? Insomma, non vedo neppure io una modalità umana, sensata e conveniente per far vivere sanamente una società se si sceglie la strada di dividerla in fasce rigidamente separate. E dando anche solo un’occhiata a ciò che si è fatto (e non fatto) in altri Paesi, chiunque può constatare che comunque questa soluzione non funzionerebbe... Ma in questa dura fase, c’è effettivamente da mettere in campo maggiore solidarietà intergenerazionale per dare orizzonte al cammino di figli e nipoti, e sulle nostre pagine abbiamo cominciato a documentarlo ad esempio con l’analisi dell’economista Matteo Rizzolli ( «L’indebitamento di Anchise e la ricchezza di Enea», Clicca Qui), e ci servono dunque investimenti sul futuro e una ridistribuzione di risorse. Pensiamo a questo. Per amore e per giustizia.
Infine vengo al caldo, spigoloso eppure empatico “diverso parere” del signor Tresso rispetto a quanto argomentato da Mauro Berruto, gran sportivo e coinvolgente opinionista e scrittore. Dico subito che sono d’accordo con Berruto e, dunque, che ho messo in pagina e titolato con convinzione anche quella sua riflessione. La frase citata ricorda in modo molto bello che nello «spirito del Natale» e alla luce dell’amore di Dio che si fa Bambino per noi vaccinarsi dal nuovo coronavirus è un atto personale che aiuta tutta la comunità, e che come ogni dono reciproco, profondo e vero segna una “nascita” che è fisica e spirituale, come quella che il Natale celebra e propone. Si tratta di una resa a una logica viruscentrica? No, proprio no. L’esatto contrario. È parte della scelta di mettere le persone al primo posto, sempre. Ed è il motivo per cui ci stiamo spendendo da cittadini, da giornalisti e da cristiani – assieme al Papa, al segretario generale dell’Onu e a organizzazioni non governative umanitarie e sanitarie di ogni continente – perché le vaccinazioni anti-Covid siano possibili e gratuite ovunque, in tutto il mondo e soprattutto per i più poveri e a rischio. Quelli che hanno fame e sete, sono nudi e malati, carcerati e stranieri... Speriamo e vogliamo che così sia. E a fare la cosa giusta, in retta coscienza, si comincia da casa propria. Solo insieme si può sortirne... Magari tenuti per mano proprio da Colui che il 25 dicembre è, per noi, la festa.




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