Infangati a Trieste due samaritani: il «lucro» di chi agisce con umanità
sabato 27 febbraio 2021

Caro direttore,
a Trieste una coppia straordinaria, che da tempo assiste, soccorre e medica i piedi piagati dei migranti, è stata accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Da anni, ogni giorno, Lorena Fornasir, 68 anni, psicoterapeuta, e Gian Andrea Franchi, 84, professore di filosofia in pensione, arrivano davanti alla stazione di Trieste, armati di garze e forbici, per curare i piedi dei migranti della rotta balcanica devastati da migliaia di chilometri. Pochi giorni fa sono stati perquisiti, la loro casa perlustrata da cima a fondo, sequestrati cellulari e Pc e loro accusati di favorire l’immigrazione clandestina. La solidarietà che diventa bersaglio. Accusati di “umanità”. Insieme, offrono cibo, vestiti, medicine, scarpe, sacchi a pelo a migranti, spesso minori, che scappano da miseria, fame, torture. «Oggi in Italia – scrivono Lorena e Gian Andrea – regalare scarpe, vestiti e cibo a chi ne ha bisogno per sopravvivere è un’azione perseguita più che l’apologia al fascismo». Di fronte a un fatto del genere, mi chiedo che triste fine stiano facendo le tanto sbandierate radici cristiane del nostro Paese. Ma dico anche grazie e Lorena e Gian Andrea che incarnano la frase del Vangelo «Beati i perseguitati per causa della Giustizia perché di essi è il Regno dei cieli».
Luca Salvi, Marano di Valpolicella (Vr)

Caro direttore,
le scrivo da Trieste, una città finita nei giorni scorsi all’onore delle cronache a causa di comportamenti ritenuti illeciti di alcuni suoi cittadini, che hanno impegnato la Digos e il Servizio per il contrasto... all’estremismo e al terrorismo esterno. Terroristi (o loro agevolatori) quasi ottuagenari (almeno il più noto di questi, presidente dell’associazione “Linea d’ombra”), e molto stimati negli ambienti della solidarietà internazionale per il sostegno offerto pubblicamente ai migranti provenienti dalla rotta balcanica, dei quali curavano le ferite riportate nel tentativo di raggiungere una realtà migliore e ai quali offrivano qualche panino. Ma è doveroso vigilare! Anche se il procuratore triestino De Nicolò ha chiarito, intervenendo sulla stampa locale, che se non c’è lucro, non può esservi il reato su cui si sta indagando, ovvero l’agevolazione dell’immigrazione clandestina. Anche se, a ben vedere, lascia perplessi l’affermazione per la quale «se tra gli indagati c’è chi dimostrerà che ha operato non a scopo di lucro, ma umanitario, e non sapeva che, dietro al proprio lavoro volontario di assistenza filantropica, si svolgevano attività illecite, la posizione sarà ovviamente archiviata». Parole che sembrano incredibilmente invertire l’onere della prova... Ma forse sono io a non aver compreso bene. Eppure tale vicenda ripropone un tema che si incontra necessariamente nella storia, quando gli ordini delle autorità risultano in contrasto con i dettami della nostra coscienza e con l’insegnamento di Dio. Ecco perché la vicenda di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, i samaritani infangati per aver lavato i piedi degli ultimi, non va tanto lontano da quella di Antigone, narrata nella famosa tragedia di Sofocle. O, per stare a tempi più recenti, possiamo ricordare l’insegnamento di una grande donna che ha speso la sua vita a servizio degli ultimi: «I senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma grandemente agli occhi di Dio, hanno bisogno di noi, noi dobbiamo essere con loro e non importa se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano». Questa lettera, direttore, non vuole invitare a trasgredire le norme, semmai a impegnarci per migliorarle, ma soprattutto è una richiesta ai poteri pubblici perché, nello svolgimento dei loro doveri, rispettino la dignità di chi non cerca il lucro, ma si pone, (come loro, a ben vedere) a servizio dei più deboli.
Dario Santin, Trieste


Sono colpito quanto voi, cari amici, dall’iniziativa giudiziaria contro Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, «quasi 160 anni in due» come ha scritto il nostro Nello Scavo mercoledì scorso dando notizia dell’azione di polizia scattata all’alba del 23 febbraio nella loro casa che è anche sede dell’Associazione “Linea d’ombra” e delle accuse elevate contro di loro in quanto protagonisti e catalizzatori di generosa solidarietà nei confronti dei migranti bloccati nei Balcani, in una stretta disumana fatta di gelo e violenze. Anche la loro disarmata azione da «samaritani» – come ormai vengono riconosciuti e chiamati da (quasi) tutti – ha contribuito a incrinare il muro dell’indifferenza e di silenzio, che anche “Avvenire” – per la sua parte – ha cercato di incrinare e, almeno in parte, di far cadere. Poiché nelle vostre lettere riassumete, con passione ma anche con chiarezza, i termini della vicenda, mi limito a due sottolineature.
Cinque anni fa un’azione simile, con identiche accuse, venne assunta nei confronti di un’altra Associazione – quella volta udinese: “Ospiti in arrivo” – e tempo un anno tutto venne archiviato. Un precedente che conferma che la civiltà, almeno quella del diritto, in Italia resiste a norme assurde come il reato di “immigrazione clandestina” attualmente vigenti e che non può darsi – come certe espressioni possono aver dato a intendere – un’inversione dell’onere della prova a carico di chi, in sostanza, è accusato di umanità. Ma è un fatto che la clandestinità imposta come una divisa da criminali a persone in fuga che si presentano “irregolarmente” alla soglia di un Paese che ostinatamente tiene chiuse le vie “regolari” è un marchio che peserà su questa stagione della nostra democrazia e della democrazia europea. È una vergogna che andrebbe – essa sì – una buona volta archiviata in blocco, come anche su queste pagine chiediamo da più di dieci anni. Un conto è presidiare i confini, un altro è chiudere le porte dell’Italia solo e soltanto ai più poveri e ai più deboli.
La seconda sottolineatura riguarda il concetto di «lucro». Per Gian Andrea e Lorena come per ogni altro e ogni altra che hanno scelto di lavare e fasciare i piedi e le piaghe dei viandanti maltrattati e derubati (anche da ladri in divisa...) lungo la via dei Balcani, di sfamarli e farli sentire di nuovo uomini e donne, credo che il «lucro» sia semplicemente quello di aver saputo fare una cosa giusta, “la” cosa moralmente giusta. Se qui e ora, per come si sono messe le cose, un giudice potrà al massimo decidere di proscioglierli, credo che verrà un giorno in cui a sperare non nell’assoluzione di una persona in toga che amministra la legge, ma di «lucrare» loro ben altra misericordia dovranno essere quelli che hanno fatto denunce e soffiato calunnie contro i «samaritani».

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