venerdì 27 settembre 2013
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C’è un dettaglio, a suo dire significativo come pochi, sul quale Silvio Berlusconi insiste da quasi vent’anni, inserendolo tra gli indizi certi di una volontà persecutoria della magistratura ai suoi danni: la scelta della Procura della Repubblica milanese di spedirgli, il 21 novembre 1994, il primo invito a comparire a Napoli, proprio mentre lui presiedeva una importante conferenza organizzata dall’Onu sul crimine organizzato. In quella coincidenza temporale, assieme all’"anticipazione a mezzo stampa" che si realizzò l’indomani con l’uscita in anteprima della notizia sul Corriere della Sera, l’ex premier ha sempre individuato la volontà preconcetta di umiliarlo, di screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. In tal modo, secondo la sua interpretazione, l’ufficio giudiziario guidato a quel tempo da Francesco Saverio Borrelli non si faceva scrupolo di incrinare la reputazione dell’intero Paese, esponendo il capo del governo a una pessima figura internazionale. Avrebbe ad esempio potuto rinviare di 48 ore la notifica del provvedimento, quando i riflettori dei mass media sarebbero stati abbassati, ma non volle, perché appunto l’intenzione era di "fargli più male" possibile.Questa della "pugnalata alla schiena", è ovviamente una ricostruzione di parte, come tale contestata dagli altri soggetti chiamati in causa. Ma è inevitabile rievocarla oggi, dopo quanto è successo mercoledì sera, quando i gruppi parlamentari del Pdl si sono riuniti attorno al loro leader politico, annunciando pubblicamente e ad altissima voce l’intenzione di dare le dimissioni in forma collettiva, costringendo di fatto le Camere a bloccarsi, e l’esecutivo a prenderne atto e a dichiarare aperta la propria crisi.Precisamente in quella stessa ora, tra le 19 e le 20, il presidente del Consiglio Enrico Letta stava intervenendo alla 68ª assemblea generale dell’Onu. Per circa un quarto d’ora il premier italiano ha parlato in inglese, perorando davanti ai rappresentanti del mondo la nostra posizione su temi cruciali come la pace e lo sviluppo, lanciando fra l’altro l’idea di un patto globale sulla sicurezza alimentare, in vista dell’Expo 2015 che si terrà a Milano. Qualche minuto dopo la conclusione dell’intervento, da Roma le agenzie di stampa riferivano che deputati e senatori pidiellini avevano approvato per acclamazione la proposta di rimettere il mandato: un’estrema forma di pressione politica - questa l’interpretazione unanime - per impedire che il 4 ottobre prossimo la Giunta per le elezioni di Palazzo Madama sancisca con il voto la decadenza di Berlusconi da senatore. Premeditata o frutto di semplice noncuranza, anche la scelta di tempo dei parlamentari del Cavaliere non può non saltare all’occhio di ogni osservatore che ha a cuore l’immagine nazionale. Anche in questo caso, infatti, visto che la dead line per il voto finale scatterà non prima di dieci giorni, si sarebbe potuto scegliere un momento diverso da quello che vedeva il nostro comune premier (fino a prova contraria tuttora sostenuto anche dal partito che ora minaccia di togliergli l’appoggio) impegnato su un palcoscenico di massima visibilità. Ed è stato facile ieri sera per Letta farlo notare, parlando di «un’umiliazione per l’Italia», perché nel momento in cui il Pdl operava il suo strappo «rappresentavo l’Italia non me stesso». Questa sottolineatura di stile può sembrare perfino un elemento secondario, alla luce dello scenario che si profila. I rischi che si correrebbero, se la minaccia di crisi di governo si concretizzasse, sono infatti di gran lunga più pesanti di una brutta figura. E invece, proprio come il leader del centrodestra pretendeva di poter desumere 19 anni fa, siamo di fronte a un "dettaglio" rivelatore. Si potrà pure accreditare una decisione così dirompente, come il siluramento dell’unico governo oggi possibile, appellandosi a valori e princìpi irrinunciabili per la democrazia. Ma il bene comune si coltiva giorno per giorno e anche le decisioni più gravi vanno assunte nelle forme e nei tempi dovuti, avendo cura di limitare quanto più possibile i danni che comunque, per queste vie, si infliggono a tutto il Paese.
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