sabato 26 marzo 2016
Nel ​Giovedì santo nel Centro di accoglienza richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, Francesco ha richiamato il valore della fratellanza, ha sottolineato il ruolo delle religioni nella costruzione della pace e dopo la Messa in Coena Domini, ha voluto incontrare tutti gli ospiti del Cara, ciascuno secondo i suoi desideri. Si è fatto fotografare con chi gli chiedeva un selfie, ha stretto le mani dei più timidi, ha ascoltato chi voleva raccontargli un problema.
Fratellanza, il contagio che ci salva
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Le parole e i gesti. In papa Francesco si "spiegano" a vicenda, verrebbe voglia di dire sono un tutt’uno. Come metà giustapposte dello stesso frutto ricco di sapore, come movimenti armonici nel medesimo spartito musicale. A legarli insieme, succede negli uomini di Dio, è quel filo sottile che unisce il cuore alla mente, così che anche il cervello ragioni sotto la guida dello Spirito, si rapporti agli altri usando il vocabolario dell’amore, l’alfabeto della misericordia.L’esempio è recentissimo. Giovedì scorso, parlando ai profughi accolti nel Centro di accoglienza richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, Francesco ha richiamato il valore della fratellanza, ha sottolineato il ruolo delle religioni nella costruzione della pace. Subito dopo, al termine della Messa in Coena Domini, ha voluto incontrare tutti gli ospiti del Cara, ciascuno secondo i suoi desideri. Si è fatto fotografare con chi gli chiedeva un selfie, ha stretto le mani dei più timidi, ha ascoltato chi voleva raccontargli un problema. Perché incontrare davvero l’altro significa rapportarsi con lui nel modo che gli è proprio, amandolo secondo i suoi desideri e non alla nostra maniera.

(Foto Twitter)E, c’è da esserne certi, proprio quell’infinita teoria di abbracci, sorrisi, sguardi, sarà l’immagine che maggiormente resterà scolpita nella mente di chi c’era. Forse anche di più, perché meno attesa, dell’umiltà con cui il Pontefice si è inginocchiato a lavare e baciare i piedi del giovane siriano Mohamed, della ventiseienne eritrea Luchia, del pachistano Khurram, del maliano Sira. Piedi piagati dalla fatica di chi fugge, bruciati dal sole del deserto mentre si cerca un’oasi di salvezza, affondati nell’acqua e nella sabbia quando si tenta di salire su una barca di fortuna. Piedi di dodici, come gli Apostoli, uomini e donne dalle storie e dalle origini diversissime, eppure riuniti dal comune desiderio di felicità, membri della stessa famiglia umana. La lavanda dei piedi, i saluti 'personalizzati' al termine della Messa sono i segni con cui il Papa ha completato e spiegato i contenuti della sua breve omelia. Perché i gesti – ha detto il Papa – parlano anche più delle immagini e delle parole. Come i recenti attentati di Bruxelles, opera «di gente che non vuole vivere in pace». E dietro ai quali – ha aggiunto ricordando Giuda che tradisce Gesù per trenta denari – «ci sono i fabbricanti, i trafficanti di armi che vogliono il sangue, non la pace, che vogliono la guerra, non la fratellanza». E invece la via per vincere come uomini, come persone, come figli di Dio sta proprio lì. Nell’umiltà di Gesù che lava i piedi agli Apostoli, che non ha paura di chinarsi sui più piccoli. La risposta per far uscire dalla crisi l’Occidente e soprattutto un’Europa messa sotto scacco dal terrore, impaurita e prima ancora svuotata di valori, sta proprio nello stare insieme, «diverse religioni e diverse culture» da «figli dello stesso Padre». Si trova in quella parola, 'fratellanza', che significa essere differenti, eppure sentirsi uniti, cresciuti alla stessa scuola di umanità e pace. «Ognuno di noi – continua Francesco – ha una storia addosso ma anche un cuore aperto che vuole la fratellanza». Un concetto che torna spesso nell’insegnamento del Papa. Risuonato con gravità e forza nel viaggio a Sarajevo, perché espulso dal vocabolario durante la guerra dei Balcani. Uno stile di vita che impedisce di essere ostaggio di guerre e divisioni. La storia – ha ricordato il 18 febbraio 2015 – dimostra «a sufficienza che la libertà e la uguaglianza» senza la «fratellanza», sfociano facilmente in «conformismo, individualismo», ma anche «in odio e violenza». Un richiamo che nel centro che accoglie rifugiati da 26 Paesi, diventa invito a pregare, cristiani cattolici, ortodossi ed evangelici, musulmani, indù, «ognuno, nella sua lingua religiosa» perché «la fratellanza contagi il mondo» perché domini la bontà. Che è un modo d’essere, un collante per tenere insieme le famiglie, uno stile di vita che si alimenta di gesti e parole. Il filo sottile che lega la mente e il cuore. Uniti nel no alla violenza, nel desiderio di pace, nella costruzione della vera fratellanza.
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