domenica 29 settembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,
in merito alla risollevata questione dell’Ici sugli 'immobili della Chiesa' coinvolti nella valutazione della Ue, è una vera fandonia parlare di miliardi di gettito non riscosso! Intanto occorre ribadire che lo stock immobiliare la cui proprietà è possibile far risalire agli enti ecclesistici italiani può essere stimato complessivamente (includendo gli immobili di culto) attorno all’1-1,5% del totale e non certo al dato ampiamente inverosimile del 20% , come è stato riportato in alcuni servizi giornalistici. Se poi consideriamo che, da un lato gli immobili destinati al culto (che costituiscono la stragrande maggioranza) sono fuori questione per riconoscimento stesso fattone dall’Europa, come pure gli immobili destinati alle attività religiose dirette (monasteri, conventi); e d’altro lato che gli immobili 'messi a reddito' dagli enti ecclesiastici già pagavano l’Ici e ora hanno pagato l’Imu (senza nemmeno beneficiare della esenzione per la prima casa da poco introdotta) di che cosa stiamo parlando? Probabilmente di una ristretta nicchia di situazioni che si inserisce nel più ampio quadro degli immobili gestiti direttamente da realtà non profit (circa 40 mila enti in Italia di diversa ispirazione, laica e cattolica e di altre religioni) per le loro attività istituzionali di tipo assistenziale, benefico, culturale, ludico-sportivo, sanitario e, poi, ancora, camere di commercio, sedi diplomatiche estere, immobili appartenenti alle altre confessioni religiose... Se dobbiamo parlarne, parliamone pure. Ma dimentichiamoci i miliardi di gettito, e comunque non si può far passare il tema sotto la denominazione generica «di immobili della Chiesa»: si tratta di altro.
Achille Colombo Cle​rici, ​Presidente di Assoedilizia
Mi sono quasi stancato, caro presidente Colombo Clerici, di spiegare ciò che lei sintetizza bene a proposito del regime fiscale per il mondo 'non profit'. Un mondo che svolge un ruolo sussidiario preziosissimo nel rendere servizi alla persona e nell’umanizzare attività che altrimenti – in questa fase di crisi e di arretramento del welfare statale – finirebbero integralmente su un mercato non accessibile a tutti. Un mondo al quale contribuiscono in modo efficace e assai rilevante le attività di enti ecclesiastici e di altre realtà cattoliche, ma che non è riducibile solo alla Chiesa e alla sua presenza sociale. Già, io quasi mi sono stancato di ripeterlo, mentre vedo che altri – l’articolo a cui lei fa riferimento è uscito nei giorni scorsi su 'Repubblica' – non si stancano di ripetere cose infondate. Se questa fosse una delle modalità del 'dialogo' tra portatori di diverse visioni e opinioni, dovrei concludere che siamo avviati male, con un fardello di vecchi tic polemici anticlericali sulle spalle di qualche compagno di strada. In questa materia, infatti, si tratta solo di decidersi a prendere atto (altri importanti giornali lo hanno finalmente fatto) di una realtà complessa e bella che viene ingiustamente demonizzata per poter accusare di nefandezza e simonia la Chiesa. Purtroppo non c’è da inventare nulla, qualcosa di storto accade sempre e da sempre anche tra gli uomini e le donne di Chiesa, ma infinitamente di più accade il bene. E in tema di attività sociali 'non profit' non ci sono solo opinioni contrapposte, ma fatti da rispettare. Il primo di essi è che non esiste in Italia una sola norma 'ad ecclesiam' in materia di trattamento fiscale agevolato di attività senza fini di lucro, mentre quelle con fini di lucro, ovvero commerciali', come io stesso ho scritto molte volte, sono tassate ed è giusto che lo siano. Anche se ultimamente qualche torto è stato fatto tant’è che non solo organizzazioni cattoliche ma, per esempio, centinaia di laicissime società di mutuo soccorso, case del popolo e circoli Arci della Toscana hanno levato sonoramente la propria protesta (e solo noi di 'Avvenire' abbiamo dato loro seria eco mediatica). C’è una brutta logica che si vuol sostenere e dilatare, e ne è parte integrante il ritornante tentativo di aggravare pesantemente l’Iva sui servizi forniti dalle cooperative sociali. Comunque, caro presidente, anche a costo di passare per ingenuo, sono e resto uomo di speranza: prima o poi certi colleghi smetteranno di fidarsi di fonti di informazione inquinate col rischio di inquinare le fonti di informazione dei propri lettori. Prima o poi capiranno che sbagliano di grosso. Posso dire? Meglio prima che poi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI