martedì 16 aprile 2013
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Caro direttore,
è trascorso un mese e mezzo dalle elezioni politiche e ancora siamo in alto mare con il governo quando invece ce ne sarebbe un bisogno urgente, non fosse altro che per mettere alcuni paletti in grado di avviare il Paese sulla strada della ripresa. Ma questo non è possibile perché ci sono forze in campo che pensano solo a se stesse anziché all’interesse comune. Penso in particolare al Movimento 5 Stelle che si è candidato per il cambiamento, ma lo paralizza. Come si può pensare a un "ritorno della politica" tra la gente se questi sono gli esempi? Per fortuna in Italia abbiamo due grossi pilastri ai quali guardare con fiducia e sono: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ci rappresenta con grande dignità e il papa Francesco che invita i cattolici a manifestarsi sempre di più tra e per i poveri. Seguiamo questi esempi senza essere rinunciatari alle nostre idee e ripudiamo chi è di facili promesse ma scegliamo l’impegno, la partecipazione, il servizio e il coraggio dell’assunzione di responsabilità di fronte al Paese.
Mario Gualeni, Sovere (Bg)
Gentile direttore,
quattro imprese chiudono ogni giorno, il quaranta per cento dei giovani è disoccupato. L’Italia, a un mese e mezzo dalle elezioni, è senza governo. «Sul piano sociale l’assenza di un governo e di una guida politica non potrà proseguire a lungo senza portare a conclusioni violente», ha affermato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, proponendo un esecutivo governo costituito da "uomini di buona volontà", mirante al risanamento economico del Paese. È perciò incredibile la paralisi a cui le tre forze politiche principali ci stanno condannando. Il Movimento 5 Stelle, innanzitutto. Ormai è tragicamente chiaro che esso non intende agire costruttivamente, con riforme democratiche, ma in modo rivoluzionario, distruggendo le attuali istituzioni e rifiutandosi di dialogare con le altre forze politiche. Il Pdl, a sua volta, vuole governare con il Pd, attraverso un’alleanza di vaste intese (il "governissimo"). Ma Bersani, a motivo dell’inaffidabilità mostrata da Berlusconi nel precedente governo, non ha nessuna intenzione di acconsentire a quella che ritiene una confusione inaccettabile di forze di diversa sensibilità politica, anche perché teme di tradire i sentimenti del suo elettorato. Ma così ragionando, Bersani smarrisce ogni senso gerarchico delle priorità. Non sarebbe meglio fare un’alleanza provvisoria, un governo di scopo o del presidente, mirante a risolvere i problemi urgenti del Paese, rinviando, a dopo, sia le distinzioni politiche e sia, magari, eventuali nuove votazioni?
Luciano Verdone, Teramo
 
Giro le vostre riflessioni e i vostri appelli a chi di dovere, cari amici. Ed evito di dilungarmi in una risposta che ho già dato più volte, e che riecheggia nelle vostre righe: sì, un governo di scopo sarebbe una soluzione sensata e utile, e una larga intesa tra le forze parlamentari sarebbe quanto mai opportuna per dare efficacia e forza all’azione e alla voce di un simile esecutivo in Italia e in Europa. Mi soffermo appena un po’ di più sul passaggio conclusivo della lettera del signor Gualeni, là dove sottolinea che «per fortuna in Italia abbiamo due grossi pilastri» in grado di sostenere la nostra fiducia: Papa Francesco – e di questo dobbiamo ringraziare Dio – e il presidente Napolitano. Si tratta di due «pilastri» assai differenti e diversamente importanti, ma che – secondo uno spirito che sta anche alla base del Concordato tra lo Stato e la Chiesa – vengono sentiti da tantissimi come provvidenzialmente alleati nel motivare e sorreggere l’impegno comune per il bene comune di questo Paese e dei suoi cittadini. Tutti sappiamo che tra pochi giorni si comincerà a votare per scegliere il successore di Giorgio Napolitano. Il minimo è rinnovare l’auspicio che venga eletto un uomo o una donna in grado di svolgere al meglio – per esperienza istituzionale, per profilo umano, per trasparenza e per statura morale – il suo alto compito e di essere sentito immediatamente come un «presidente di tutti». Sembra una frase fatta, e invece – a quel che si vede e si sente – è un gran lavoro tutto da fare.
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