sabato 9 aprile 2016
Gli effetti della campagna elettorale sugli stranieri. Clima di ostilità e pressioni per interrompere i flussi. (Elena Molinari)
 I nuovi muri anti-migranti alzati in Usa
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Quando tre uomini in uniforme sono venuti a tempestare di pugni la sua porta alle quattro del mattino, Ignacio Alvarez non si è mosso. Il 18enne è rimasto immobile a letto nell’unica stanza che divide con altri tre salvadoregni a San Antonio.  «Un mio amico ha chiesto ai poliziotti di passare sotto la porta un mandato di arresto, ma non l’hanno fatto – racconta il ragazzo –. Dopo un po’ sono andati via. Per fortuna ero andato a Raices, ( Refugee and immigrant center for education and legal services, ndr) e mi avevano detto che cosa fare». Se avesse aperto la porta, Ignacio sarebbe stato deportato. Era arrivato alla frontiera con il Texas nel maggio 2014. Era stato fermato al confine e rinchiuso in una stanza fredda nel centro di detenzione di Dilley, a cento chilometri dal confine con il Messico.    Tre settimane più tardi, gli agenti dell’immigrazione l’avevano rilasciato sotto la responsabilità di uno zio di San Antonio, con l’ordine di presentarsi in tribunale due mesi più tardi per avanzare richiesta di asilo. Ignacio ha obbedito, la sua domanda è stata respinta e ora vive nella paura. I volontari di Raices gli hanno detto che può presentare un appello, ma che senza un avvocato sarebbe inutile e che quelli dell’associazione hanno già troppi immigrati da gestire.  Ignacio non è il solo a sperare in un miracolo per non dover tornare alla violenza delle gang in centramerica (nel suo caso la Ms-13 in San Salvador). Mentre casi come il suo si fanno strada nel sistema giudiziario americano, l’amministrazione Obama ha sguinzagliato gli agenti dell’Homeland security con l’incarico di arrestare e deportare i migranti che arrivarono nel 2014, quasi tutti da Honduras, El Salvador e Guatemala. Lo scopo è di «mandare un segnale deterrente ad altri potenziali migranti», spiega il ministero, senza aggiungere che finora l’obiettivo non è stato raggiunto. Le retate si sono sovrapposte infatti a un’altra ondata di arrivi, spinti a tentare il pericoloso viaggio dalle continue uccisioni e dalla paura che il prossimo presidente americano costruisca davvero un muro al confine con il Messico, chiudendo per sempre la loro unica via di fuga. Sullo sfondo della continua emergenza umanitaria al confine e di una campagna elettorale particolarmente ostile ai migranti, il giro di vite dell’Amministrazione democratica è diventato politicamente problematico. Molti attivisti e parlamentari democratici temono che le espulsioni forzate, spesso di madri con figli minori, compromettano la tradizionale affinità dei latinos per il partito progressista proprio in un anno elettorale, offuscando le differenze fra i liberal e la retorica xenofoba dei repubblicani. Altri, sempre fra i democratici, fanno invece notare che il malcontento cavalcato da Donald Trump non può essere ignorato e che le deportazioni, se eseguite nell’ambito della legalità, aiuteranno Hillary Clinton a catturare preferenze negli Stati di confine, dove molti elettori, anche immigrati di seconda generazione, temono che i loro quartieri e le scuole dei loro figli siano affollati da famiglie indigenti che non parlano inglese. Un esempio di queste paure è visibile nelle reazioni al benvenuto riservato alle migliaia di cubani che da settimane attraversano ininterrottamente il confine fra Messico e Texas. §A  Laredo, il più grande punto d’ingresso negli Usa via terra, centinaia di cubani sono accolti ogni giorno da volontari che li orientano su come ottenere permessi di lavoro, buoni pasto federali e uno stipendio mensile pagato dal governo per nove mesi oltre a Medicaid, la mutua gratuita per i poveri. Tutti vantaggi ai quali hanno diritto in base a una legge del 1966 riservata agli esuli del regime castrista. Grazie all’eliminazione del visto di uscita da Cuba e a un maggiore flusso di dollari verso l’isola, già 12mila cubani sono entrati negli ultimi tre mesi del 2015, suscitando numerose e rumorose manifestazioni di protesta. Gli agenti frontalieri ne aspettano altri 50mila quest’anno. I migranti centramericani invece non passano per gli uffici frontalieri di Laredo. Il Border Patrol li scopre nascosti dietro finte partizioni di camion diretti a nord. O li intercetta mentre cercano di attraversare il deserto a piedi. Tra ottobre e febbraio ne sono stati arrestati 150.304, stando al Customs and Border Protection, oltre a 20.455 bambini non accompagnati: più del doppio rispetto allo stesso periodo un anno fa. Ma, di pari passo con la nuova politica delle deportazioni, nell’ultimo anno la prassi al confine è cambiata. Il ministero della Sicurezza ora è restio a rilasciare i migranti irregolari dopo l’arresto, anche quelli che hanno famiglia negli States. Usando i numeri della nuova 'emergenza' per aggirare il divieto di un tribunale di detenere minori in strutture semicarcerarie, il governo ha convertito i due centri texani di Dilley e di Karnes city, nei pressi di San Antonio, in 'strutture di ospitalità per famiglie'. Al momento vi si trovano oltre tremila persone alle quali sono state imposte cauzioni dai 2mila ai 20mila dollari per la libertà, che riavranno solo se la loro domanda di asilo sarà accettata. Per chi – ed è la maggior parte – non può pagare, la scelta è fra restare nella hielera (la ghiacciaia, come vengono chiamati i centri) o affidarsi ai servizi di una società privata, Libre by Nexus, che presta il denaro a interesse e marchia i suoi creditori con una cavigliera elettronica da 420 dollari al mese. Quasi 4mila persone hanno firmato un contratto con l’impresa. «Dovevo uscire di lì, non ne potevo più – dice Maria, venuta a un incontro dell’associazione Raices con il figlio Martìn e una valigetta di ritagli di giornale che descrivono la violenza subita in Honduras da due suoi cugini –. Ma ora sono schiava di questa macchina. Mangia tutto quello che guadagno, e quando la gente la vede mi guarda male». La giovane donna ha ancora più paura di rivelare la banda di metallo da quando ha visto in tv uno spot di Donald Trump nel quale un immigrato sudamericano è accusato di aver ucciso un giovane americano. Anche Ignacio l’ha visto e dice di non aver bisogno della lettera scarlatta di una cavigliera per attirare sguardi diffidenti. «Non esco quasi più – mormora con la testa fra le mani –. Quando sono in casa ho paura che gli agenti della migra tornino con un mandato. Ma se esco ho paura che mi succeda qualcosa. L’odio contro di noi è forte». ©

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