martedì 9 febbraio 2016
​In un video-verità le rovine senza vita di quella che fu una grande città. Guardatelo e capirete perché masse di uomini prendono la strada dell'esilio. di Marina Corradi
Padre Ibrahim: così si muore nell'inferno di Aleppo
Homs, la Chernobyl siriana: da cosa fuggono
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Sullo schermo del pc in un giorno come tanti le notizie scorrono veloci. Due naufragi al largo della Grecia: 38 morti, di cui 12 bambini. Due giovani irachene annegano nel fiume che separa Turchia e Bulgaria. In ventimila sono in fuga da Aleppo distrutta. La Macedonia alza un nuovo muro al confine con la Grecia. E, tra una tragedia e l’altra, la "nostra" vita in pace: Grillo, Affittopoli, Sanremo. Le dita digitano veloci, le schermate si chiudono e si aprono. Poi, quella foto. L’avevo già chiusa, ma torno indietro. Un drone russo ha volato su Homs, città siriana martirizzata dalla guerra civile e dai bombardamenti del regime, prima, e poi russi. Ecco cosa ne rimane, oggi:
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ndatelo a vedere. Ma prima andate a cercare sul web le immagini di Homs, com’era prima. Una città di 800 mila abitanti. Moschee e altri edifici religiosi, palazzi, qualche grattacielo. Viali alberati, traffico, giardini. Una bella città. Ora guardate il video., andatelo a vedere. Ma prima andate a cercare sul web le immagini di Homs, com’era prima. Una città di 800 mila abitanti. Moschee e altri edifici religiosi, palazzi, qualche grattacielo. Viali alberati, traffico, giardini. Una bella città. Ora guardate il video.ndatelo a vedere. Ma prima andate a cercare sul web le immagini di Homs, com’era prima. Una città di 800 mila abitanti. Moschee e altri edifici religiosi, palazzi, qualche grattacielo. Viali alberati, traffico, giardini. Una bella città. Ora guardate il video., andatelo a vedere. Ma prima andate a cercare sul web le immagini di Homs, com’era prima. Una città di 800 mila abitanti. Moschee e altri edifici religiosi, palazzi, qualche grattacielo. Viali alberati, traffico, giardini. Una bella città. Ora guardate il video.Il drone vola alto e veloce sotto a un cielo di piombo. Le prime inquadrature sono di un grande cimitero, con le lapidi di marmo geometricamente allineate. Poi, di colpo, la città. Nei colori lividi, così uguale al cimitero. Ma massacrata. Totalmente annichilita: non un palazzo che non sia sventrato. I tetti accartocciati, e migliaia di finestre nere come orbite vuote, dietro le quali non vive più nessuno. Qui e là i brandelli di una tenda, una sedia rotta, un’antenna su un tetto che volge la parabola verso il nulla. Il drone vola indifferente, senza soffermarsi, ma tu immagini, in ciascuna di quelle case, uomini, bambini, storie, amori. Tutto annientato. Non c’è più nessuno, non c’è un’anima sotto al cielo di Homs. Nemmeno un cane per strada, o un uccello che voli. Se ne sono andati tutti. È Chernobyl, Homs. Una Chernobyl immota, prona sotto alle sue rovine.E il drone continua a volare, veloce, freddamente obiettivo. Le strade sono ridotte a sterrate disseminate di carcasse di veicoli. Si immagina il silenzio, che grava come una cappa densa sulla città morta. Ora la videocamera inquadra, unici in vita, tre ragazzi per strada. Al rumore del drone si voltano e alzano gli occhi al cielo, poi riprendono a camminare, verso chissà dove. Chissà che cosa, chissà chi cercano. Poveri sciacalli affamati forse, a caccia di un materasso, una coperta, un sacco di farina? Il drone vola oltre. Sui muri sventrati, qui e là, l’impronta di un quadro che non c’è più. Macerie, polvere, e nessuno di vivo. Vengono in mente Dresda, o Colonia, nel ’45. È il giorno dopo l’Apocalisse, Homs, è il lamento di Giobbe moltiplicato per ottocentomila anime. È il volto vero della guerra, che, dopo i rombi e le raffiche di mitra e i cannoni trionfanti, si mostra nella sua verità: nuda morte. Andatelo a vedere. Per sapere da cosa fuggono veramente quelle decine di migliaia di poveri cristi con i figli in braccio che naufragano a Kos, o si incolonnano nei Balcani. Non servirà a niente, guardare, se non, almeno, a sapere: da cosa scappano, quelle folle contro cui l’Europa alza muri e barriere. Occorre, è un imperativo morale, almeno, vedere. Per cambiare questo terribile oggi. Perché non possiamo dire, un giorno: noi non sapevamo.
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