martedì 28 maggio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
La ragazza calabrese data alle fiamme da un fidanzato respinto aveva quindici anni. L’adolescente di Novara che si è uccisa dopo una violenza di gruppo e una persecuzione sui social network ne aveva quattordici. L’assassino di Fabiana ha diciassette anni, i violentatori della ragazza di Novara anche di meno. E senza arrivare a queste atrocità, non è raro che i giornali raccontino di quindicenni annichilite in terribili avventure. Come se davanti a un fidanzato manesco o a compagni che le inseguono e le molestano, non avessero la percezione del pericolo. Come se, cresciute nella sacrosanta convinzione che le donne hanno il diritto di vivere, muoversi, percorrere le strade come i coetanei, non si fossero accorte però di un importante elemento di realtà: e cioè che certi uomini, e anche giovanissimi, non sono parallelamente a loro cambiati. Così che può capitare che un ragazzo o un branco di sedicenni considerino una coetanea come una preda, o una cosa. Da distruggere ferocemente per un "no", come è successo in Calabria; da usare come un oggetto e poi dileggiare, con la massiccia moltiplicatoria violenza di cui il web è capace, come a Novara. Sono storie che ci ammutoliscono, per la violenza e il disprezzo con cui una ragazza poco più che bambina può venire materialmente o psicologicamente annientata. E viene da domandarsi come sia possibile che decenni di battaglie di liberazione della donna possano sfociare anche in simili disastrose implosioni. Viene da chiedersi chi siano le madri e i padri, di quei ragazzi che a sedici anni si fanno aguzzini di una compagna, e dove abbiano appreso quello sguardo sulle donne. Viene da domandarsi quale tipo di madre allevi un figlio capace, già da giovanissimo, di una così antica, primordiale violenza. È il permettere tutto, il non dire mai no, che può condurre a guardare una donna come una cosa? O anche questi epifenomeni appartengono a un vuoto che segna molti figli delle ultime generazioni, per le quali all’abbandono di una educazione cristiana o di un’altra altruistica formazione non è subentrata in realtà nessun’altra educazione? Da quali infanzie vengono i protagonisti di un dramma come quello di Novara, o i giovani violentatori minorenni che talvolta affiorano dalle cronache, dopo il sabato nelle discoteche? Sembrano figli del nulla, di famiglie mute, di case con la tv sempre accesa, senza nessuno che ascolti, che abbracci, che insegni. Accade che certi figli o nipoti della generazione di donne che ha combattuto per la parità dei diritti portino addosso una capacità di violenza più grande che i loro padri. Quasi che proprio l’essere le ragazze di oggi libere e pari, oscuramente li provocasse, e facesse riemergere un’ansia di prevaricazione primitiva – dove l’ultima parola è, semplicemente, la forza bruta, o quella del branco. L’apparente divario fra la percezione della realtà delle giovani donne "liberate" e certa sbalorditiva violenza di cui dei sedicenni sono già capaci potrebbe però porre alle madri la domanda su come sono stati, questi figli, educati. Certo, si educa in due, però dovrebbe bruciare particolarmente a una donna scoprire che un suo figlio è, per altre donne, un persecutore. Intanto la "liberazione" che molte nostre figlie danno per scontata, in non pochi casi, è asimmetrica: certi coetanei non sempre l’hanno recepita. Di modo che forse è ancora ragionevole insegnare alle figlie ragazzine a essere guardinghe, a evitare i luoghi solitari e gli amici troppo intraprendenti. Ci si sente quasi imbarazzate, a dare a una figlia quindicenne questi consigli; sembra ingiusto, e anacronistico. E però fintanto che la realtà maschile e femminile permane, almeno per alcuni, come in un doppio binario, è solo realismo dire a una adolescente: per favore, torna prima che sia buio. Lei sorriderà e alzerà le spalle – lei, che si sente forte e uguale. E sua madre, che magari è stata femminista, guarderà l’orologio, la sera, più ansiosamente di quanto non lo guardi per un figlio maschio; nel costante antico divario fra come vorremmo che fosse il mondo, e quello che invece dolorosamente è.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: