domenica 3 maggio 2009
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Berlusconi ha proposto a Zapatero di restituirci un favore, restaurando la fortezza gravemente danneggiata dal terremoto. Gli aquilani furono costretti a costruirla dagli spagnoli dopo aver tentato, inutilmente, di scacciare l’invasore, nel 1527. Non era la prima volta che succedeva. La stessa costruzione della città devastata dal sisma era stata imposta ai signori dell’altipiano trecento anni prima da Federico II di Svevia, per piegare l’indipendenza dei castelli: quelli che si opponevano vennero rasi al suolo, gli altri vassalli si trasferirono nel centro dell’attuale capoluogo; chiese e palazzi portano ancora il nome delle località dell’incastellamento. Ora questi gioielli sono tutti in pericolo, mezzi crollati, lesionati, comunque inagibili e Palazzo Chigi ha stilato una lista dei maggiori monumenti dell’area, per chiedere ai Grandi di farsi carico della ricostruzione. Il premier la chiama «lista di nozze» lasciando intuire che questa è l’occasione giusta per dimostrare che l’amore per l’Italia e i suoi tesori non è di facciata. La scelta stessa di convocare il G8 nelle terre del disastro ha una logica politica, finanziaria e mediatica: di fronte a un simile scempio, camminando tra le macerie, magari impietrendosi per una scossa di assestamento, quale premier o capo di Stato si rifiuterebbe di por mano al portafoglio? Va riconosciuto che, quando il nemico è la Natura, la solidarietà travalica i confini, compresi quelli finanziari, con un’agilità che non ha nulla di strumentale, ma nasce dalla consapevolezza di appartenere alla stessa condizione. Ma va anche detto che la «lista di nozze» non basterà a far rinascere la cultura abruzzese. Come ci dichiara il vicecommissario ai beni culturali, il fabbisogno per restituire a fedeli e turisti centinaia di chiese lesionate, di torri crepate, di castelli squarciati è di circa tre miliardi di euro. Una cifra che si commenta da sola e che corrisponde all’enormità del patrimonio di storia e di fede che è stato travolto dal sisma del 6 aprile. Sotto il Gran Sasso e la Maiella, tutta la cultura, infatti, è innervata di religione.L’abruzzese ha da sempre un rapporto profondo con la natura e con Dio, che deriva dalla sua società agreste, modellata sugli usi della pastorizia, e prende forma nella devozione dei Santi. L’Aquila era chiamata la città delle 99 chiese e tutta la regione è un florilegio di navate e rosoni, campanili e chiostri: tra Medioevo e Rinascimento, fino al Settecento e cioè finchè il Regno delle Due Sicilie non investì nell’agricoltura del Tavoliere, cancellandovi i pascoli, questa era una delle regioni più ricche della penisola. Nel Cinquecento, gli Aragonesi - prenda nota Zapatero - imponevano le loro gabelle a 5,5 milioni di pecore. Fortunatamente, lungo la via della lana (dalle Puglie a Venezia, passando per Firenze) transitavano anche orafi e scultori, pittori e architetti, che ci hanno lasciato migliaia di gioielli, oggi in pericolo. Anche a non voler sottolineare le conseguenze del sisma sulla libertà di culto - centinaia di chiese inagibili significano migliaia di fedeli senza un tetto per lo spirito - censire e restaurare i tremila monumenti danneggiati dal terremoto significa restituire al turismo del centro Italia una quota importante di fatturato. Il 6 aprile tutto il mondo si è stretto intorno agli abruzzesi ma subito dopo ha disdetto le prenotazioni per le vacanze estive, non solo nell’area dell’Aquila ma anche sulla costa. Un simile danno imporrà un piano di investimenti adeguato e tempi lunghi, ma non esistono scorciatoie: dopo quella di nozze, il governo dovrà stilare una lista della spesa che tenga conto anche della vastità del patrimonio storico artistico compromesso e della necessità di comunicare al mondo che l’Abruzzo non è solo terremoto.
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