martedì 2 marzo 2021
In Etiopia non solo violenze sulle persone. Testimoni parlano di templi e monasteri distrutti, antichi reperti rubati e messi in vendita. Appello del mondo della cultura
I cristiani del Tigrai uccisi e depredati dei tesori religiosi
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La guerra nascosta del Tigrai, iniziata lo scorso 4 novembre, sta provocando massacri danni incalcolabili anche a un tesoro culturale e religioso unico in Africa in una terra con una storia millenaria. Nessuno dimentica la catastrofe umanitaria che sta coinvolgendo oltre due milioni di persone ridotte alla fame né le stragi che report come quello di Amnesty international su Axum hanno provato dopo un lungo blackout comunicativo in tutta la regione settentrionale del secondo paese africano per popolazione. Ma il conflitto non ha risparmiato un patrimonio culturale e religioso dell’umanità tutelato in parte dall’Unesco. Sono state colpite le radici e l’identità del cristianesimo africano nel Corno, crocevia con l’Oriente islamico. Diverse testimonianze, le ultime raccolte dall’emittente Usa Cnn, confermano massacri di preti copti ortodossi, suore e fedeli nei luoghi sacri. Mentre chiese e monasteri anche dei primi secoli della cristianità sono stati colpiti, rasi al suolo e saccheggiati e testi sacri millenari trafugati o bruciati. L’allarme è stato lanciato da decine di studiosi e accademici di tutto il mondo che, in collaborazione con gli studiosi locali, costituiscono la comunità di ricerca che da anni cataloga e preserva antichissimi edifici religiosi, manoscritti millenari e rarissimi arredi liturgici e che già a gennaio hanno sottoscritto un allarme partito dall’università tedesca di Amburgo.

«Il Tigrai è parte dell’Etiopia e possiede un patrimonio culturale straordinario», dice il manifesto, «che ha contribuito allo sviluppo della regione e dell’intero paese». Il testo fa riferimento a numerosi rapporti secondo i quali gli scontri tra le milizie regionali del Tplf da una parte e dall’altra l’esercito federale etiopico e i suoi alleati, le milizie amhara e soprattutto le truppe eritree (la cui presenza viene ripetutamente smentita dalle autorità asmarine ed etiopi, ma è confermata da tutti i testimoni e dalle autorità locali) sono avvenuti vicino a siti consacrati. L’elenco delle distruzioni e dei saccheggi comprende siti famosi e visitati dai turisti come il tempio di Yeha, risalente al 700 avanti cristo poi riconvertito in tempio cristiano; la chiesa rupestre di Maryam Dengelat (riaperta un paio di anni fa anche con il contributo italiano), il monastero trecentesco di Dabra Abbay, quello di Dabra Dammo, eretto su un’altura raggiungibile solo dai maschi e con un tratto di arrampicata con la corda e la cattedrale di Santa Maria ad Axum, città nella lista Unesco, la chiesa che conterrebbe secondo i cristiani ortodossi etiopi l’Arca dell’alleanza. L’avrebbe portata qui Menelik, figlio di Salomone e della Regina di Saba dopo il sacco di Gerusalemme e la distruzione del tempio di Salomone nel 587 a.C. Il manifesto denuncia «saccheggi di manoscritti» e avverte che prima o poi questi finiranno per essere portati fuori dall’Etiopia per venire venduti sul mercato dell’antiquariato. Gli studiosi si appellano a tutte le parti in conflitto «per rispettare questo patrimonio» astenendosi da combattimenti in zone sacre e al governo etiope per fare tutto il possibile per proteggerlo e indagare i casi di sparizione rendendo pubblici i risultati. Tra i firmatari, docenti e studiosi di 55 università del pianeta, laiche e di ispirazione religiosa. In Italia hanno aderito accademici dell’università di Napoli, della veneziana Cà Foscari, dell’ateneo di Padova, della Sapienza di Roma e della Biblioteca Vaticana.


L’elenco della distruzione e del saccheggio comprende siti famosi come il tempio di Yeha, la chiesa rupestre di Maryam Dengelat, il monastero di Dabra Abbay, la cattedrale di Santa Maria ad Axu

Uno dei promotori è un docente italiano dell’università di Amburgo, Alessandro Bausi, direttore del dipartimento sugli studi umanistici dell’istituto di africanistica e profondo conoscitore del patrimonio cristiano tigrino. «È un patrimonio importantissimo – spiega Bausi, fiorentino perché ha due caratteristiche. Noi siamo portati a identificarlo come patrimonio della cristianità orientale, un mondo che comincia da Bisanzio comprende la Siria, l’Egitto, il Caucaso, l’Armenia, la Georgia. Di questo mondo fa parte anche l’Etiopia che ha conservato un patrimonio cristiano che parte dal quarto secolo. Già in quest’epoca avevamo infatti tracce di cristianesimo in Tigrai: basiliche antiche, siti monastici, chiese e installazioni ecclesiastiche. In Etiopia ed Eritrea ci sono centinaia di migliaia di manoscritti e codici del quale conosciamo solo una parte, scritti andati perduti nel resto del mondo conservati solo qui. Radere al suolo questo patrimonio culturale comporta un danno all’umanità di portata generale. Intendiamoci l’appello si concentra sugli aspetti della perdita che subisce il patrimonio culturale, ma non vuol dire che siamo insensibili a quello che sta succedendo alla popolazione. Va in parallelo. Secondo le convenzioni in condizioni di guerra e di conflitto bisogna lottare contro la barbarie».

Dato che non è ancora possibile verificare le notizie in loco e che le autorità etiopi smentiscono tutto, gli studiosi firmatari dell’appello che contatti hanno avuto con le autorità? «Conosco molte persone in Etiopia – risponde Bausi – e ho contatti con autorità locali. Ci sono giunti rapporti dettagliati e ho avuto modo di ascoltare testimoni oculari che confermano. La chiesa ortodossa etiope non si è invece espressa su questo argomento. Forse certe voci non hanno avuto la forza di farsi sentire». Cosa si sa della distruzione che sarebbe avvenuta a gennaio e del saccheggio dell’antichissimo monastero di Dabra Dammo, nota attrazione turistica oltre che tesoro inestimabile? «Abbiamo ricevuto una serie di rapporti indipendenti redatti da colleghi in contatto con persone del luogo che confermano distruzione e saccheggio. E i rapporti e i riscontri incrociati convergono sul ruolo avuto anche qui dalle truppe eritree». Dove può finire il patrimonio culturale saccheggiato? «Questi reperti si trovano correntemente in vendita su siti online che vendono oggetti di seconda mano, spesso la loro provenienza non è accertata ma hanno un mercato e c’è un interesse molto forte in particolare per manoscritti e arredi liturgici».


Le testimonianze confermano massacri di preti copti ortodossi, suore e fedeli nei luoghi sacri, oltre ai furti

Dopo il report di Amnesty che attribuisce chiare responsabilità sia nei massacri di Axum che nei saccheggi alle truppe eritree avvenuti durante le festività religiosa dedicata a Nostra Signora di Sion di fine novembre, anche la Cnn accusa esplicitamente i militari eritrei di aver ucciso almeno 100 pellegrini, tra cui molti minori, che partecipavano alla stessa festa tradizionale nel villaggio montano dove sorge la chiesa rupestre di Maryam Engelat. La verità si conoscerà solo finalmente operatori umanitari e culturali internazionali avranno libero accedere alla regione e si avvieranno inchieste internazionali. La posta in gioco è alta sia per l’opinione pubblica internazionale che nazionale. Per dirla con lo storico tedesco Wolbert Smidt, «se attacchi Axum e la sua chiesa, attacchi l’identità stessa di tutti gli etiopi ortodossi». Lancia infine un appello all’Italia e in particolare al ministro della Cultura Franceschini perché prenda la guida della protezione del patrimonio culturale del Tigrai Mehari Taddele Maru, tigrino e professore presso il Migration Policy Centre dell’Istituto universitario europeo di Firenze. «L’Italia ha una relazione speciale con l’Etiopia e la regione del Tigrai: storica, culturale e di cooperazione allo sviluppo. Ricordo l’obelisco che l’Italia ha restituito, rimandandolo dal centro di Roma ad Axum con un gesto esemplare. La protezione dei siti Unesco è poi una responsabilità internazionale. Ogni attacco al patrimonio culturale è un attacco alla civiltà, all’umanità ed è crimine di guerra».

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