martedì 5 aprile 2016
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Le mamme dei «desaparecidos» e il potere che perderà La morte violenta di Giulio Regeni è oggetto di contesa tra governo italiano e governo egiziano, e (parere personale) finora non era chiaro chi dei due avrebbe vinto. Non dico “chi avesse ragione”, ma “chi avrebbe vinto”. Perché pareva (pare ancora, e sempre di più) che a volere la morte di Giulio fosse un regime, che salda in sé il potere politico, il potere giudiziario, il potere poliziesco e il potere militare. Puoi avere ragione, tu padre o madre di un figlio ucciso, ma quando lotti contro questi poteri coalizzati avrai difficoltà a farla prevalere. Una madre contro un regime, da quando in qua vince? Un regime contro una madre, da quando in qua perde? Ora però i rapporti di forza cambiano: non è più “una” madre, ma sono “tante” madri a denunciare la scomparsa dei loro figli, in modalità coincidenti o concordanti, secondo fasi ripetitive: rapimento, sequestro, scomparsa per sempre o ricomparsa dopo giorni del cadavere con segni di tortura. Il governo contro il quale lotta la madre di Giulio Regeni non deve più spiegare la morte di Giulio, ma di alcune centinaia o un migliaio e mezzo di ragazzi come Giulio. Vedo circolare l’elenco di questi ragazzi, le loro facce, la loro biografia, la loro morte violenta.  Vedo la faccia del capo del governo che avrebbe ordinato o chiesto o permesso queste uccisioni. Lo guardo, immagino i potenti che stan dietro di lui, e a tutti dico: “Perderete”. È la stessa sensazione che provavo quando, visitando Buenos Aires, andavo a mescolarmi con le madri di Plaza de Mayo. Le donne note alla storia come Madri di Plaza de Mayo erano le madri dei desaparecidos: ragazzi prelevati a casa loro, in piena notte, dalla polizia, portati giù per le scale di corsa, caricati su camion, scomparsi e mai più ricomparsi. Le madri chiedevano alla polizia dov’erano, e la polizia rispondeva che non lo sapeva. A un certo punto le madri degli scomparsi han cominciato a cercarsi fra di loro, radunarsi, darsi appuntamento nei giardini davanti alla Casa Rosada, e sfilare in girotondo, per qualche ora, abbracciandosi e baciandosi, ognuna con sul petto la foto del figlio sparito. Veniva voglia di abbracciarle e baciarle. Loro ricambiavano il bacio, su ambedue le guance. È così che sono stato baciato da loro. Le guardavo sfilare, vestite di nero, silenziose e inflessibili, poi giravo gli occhi sulla Casa Rosada, immaginavo il presidente e i potenti che stavano con lui, e a tutti dicevo: “Perderete”. Hanno perso. C’è stata una lunga trafila di leggi, condanne, assoluzioni e ricondanne, ma adesso la verità la sappiamo. Se fosse stata la lotta del potere contro una madre, la madre avrebbe perso, e del caso sapremmo poco o nulla. Ma è stata la lotta del potere contro “le madri”, e le madri non potevano perdere. In Egitto pare (per ora diciamo soltanto “pare”) che siamo a questa svolta. A noi interessa Giulio, perché Giulio è nostro figlio. Sulla morte di Giulio ci hanno mentito infinite volte, troppe. Ma ora scopriamo, notizia di ieri, che i ragazzi morti come Giulio in Egitto sono almeno 533 negli ultimi otto mesi. Le chiamano “sparizioni forzate”. La madre di Giulio (mi scusi, signora, anch’io l’ammiro) da sola non ha la forza di mettere in crisi il governo dell’Egitto. Guardavo la foto del capo del governo e, fino a ieri, mi dicevo: “Può cavarsela”. Ma oggi apprendo che alla madre di Giulio si uniscono le madri di tanti altri scomparsi. C’è un movimento di madri in Egitto, che si cercano. Guardo la foto del governatore che loro accusano, immagino i potenti che stan con lui, e gli dico: “Perderete”. Perché all’inizio questa tragedia chiedeva “un” atto di giustizia, adesso ne chiede mille o duemila. Se non fai giustizia perché è difficile, più la rimandi, più diventa difficile rimandarla ancora. Finché diventa impossibile.
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