mercoledì 26 giugno 2013
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«Qualunque cosa faccia ora Berlusconi, che faccia ricorso o no, non è una questione da cui dipenda la prosecuzione del cammino dell’Italia. C’è una coalizione attiva, che si è formata con fatica dopo le elezioni, e suppongo che resti operativa. Tutte le altre ipotesi, a mio modo di vedere, non sarebbero giustificabili». È curioso che siano le parole di un osservatore straniero – le ha pronunciate ieri il ministro degli Esteri austriaco, Michael Spindelegger – a prefigurare con chiarezza esemplare quale dovrebbe essere il futuro prossimo del nostro Paese.Se appena si prova a porsi al di fuori dello stretto circuito politico e mediatico, a uscire dalla bufera di dichiarazioni e manifestazioni seguite all’ultima e pesante sentenza di condanna dell’ex premier e leader del Pdl, l’ordine delle priorità da affrontare risulta infatti chiaro. E altrettanto chiara è la portata della sfida che il governo si trova ad affrontare nelle prossime 72 ore, tra il Consiglio dei ministri di oggi e il vertice europeo di domani e dopo. Nei suoi primi 60 giorni di vita, l’esecutivo di Enrico Letta è stato giocoforza impegnato anzitutto a "prendere le misure", a calibrare pesi e contrappesi della sua strana maggioranza, e poi a impostare, con il cosiddetto "decreto del fare", alcuni aggiustamenti normativi assai utili ma certamente non decisivi. Oggi, invece, potremmo dire che il governo è alla sua prima prova fondamentale, con i due dossier lavoro e fisco squadernati sul tavolo di Palazzo Chigi e con la necessità di arrivare all’appuntamento del Consiglio europeo di Bruxelles con decisioni coerenti e il più possibile incisive per quanto la ristrettezza delle risorse finanziarie a disposizione permetta.Sul capitolo occupazione, l’esecutivo ha chiarito di non poter agire – ora – su una significativa riduzione del cuneo fiscale, ma di voler comunque incentivare l’assunzione stabile di lavoratori con meno di 30 anni grazie a una riduzione dei contributi sociali. Per quanto necessariamente circoscritto – gli incentivi varati lo scorso anno per 230 milioni di euro hanno prodotto 25mila trasformazioni di contratti a tempo indeterminato, i 500 milioni che si intendono stanziare potrebbero produrre presumibilmente intorno alle 50mila assunzioni – sarebbe un segnale importante nella direzione giusta. Così come positivo sarebbe decidere – subito, senza rimandi ad altri provvedimenti o concertazioni – la riduzione dei tempi d’attesa tra due contratti a termine, la semplificazione delle norme sull’apprendistato e delle causali per i contratti a tempo.Più difficile e spinoso il tema dell’Iva. L’idea del rinvio di tre mesi del previsto aumento di un punto necessita ancora di una copertura certa, ma potrebbe rappresentare un intelligente compromesso tra chi giustamente sottolinea come l’aumento deprimerebbe ulteriormente i già bassi consumi interni e chi, invece – non meno a ragione – sottolinea come sia tempo di dare priorità alla riduzione del costo del lavoro e al trasferimento della tassazione dalle imposte dirette e quelle indirette. Il congelamento temporaneo oggi, infatti, potrebbe permettere una riforma definitiva in autunno con la legge di stabilità, accompagnata auspicabilmente dal riordino di alcune agevolazioni fiscali e da una riduzione della spesa pubblica improduttiva.Il crinale sul quale si muove il governo è talmente stretto da sembrare una fune tesa sopra il baratro della crisi senza fondo. Come funamboli, il premier e i ministri sono costretti a camminare con estrema prudenza, bilanciando bene i pesi e contrastando le oscillazioni dei venti di recessione, d’un presente difficile per tanti cittadini. Aggiungervi altre «fibrillazioni» politiche, come le ha definite ieri il presidente Napolitano, sarebbe non solo irresponsabile, ma esiziale per tutti. Al contrario, dimostrare responsabilità e coerenza in questa fase, mettendo il Paese al primo posto e i diversi problemi nel giusto ordine di priorità, non potrebbe che essere fortemente apprezzato dall’opinione pubblica. Perché non c’è alternativa, per evitare di cadere, che quella di camminare sulla corda nell’unica direzione possibile: avanti. Un passo per volta, con giudizio. Ma avanti.
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