venerdì 22 maggio 2009
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Caro Direttore, per un ricercatore italiano che ha fatto la scelta di rientrare in Italia anche a costo di lasciare un posto di lavoro certamente più vantaggioso all’estero, ciò che sta accadendo a Torino è purtroppo scoraggiante. Da una parte immagini di violenza che si sperava fossero ormai relegate al passato, e dall’altra iniziative tra il goliardico e l’ironico finalizzate ad attirare l’attenzione. E in mezzo i rettori di diverse università internazionali che hanno avuto la sfortunata idea di battezzare la loro tavola rotonda come G8 University Summit. Questo è bastato per innescare uno psicodramma mediatico che ha completamente offuscato la portata di un evento che avrebbe dovuto affrontare una delle questioni più delicate per l’avvenire dell’università, e cioè il suo ruolo e la sua organizzazione nel mondo globalizzato. Non c’era certamente da farsi troppe illusioni sulle reali possibilità della riunione dei rettori di incidere concretamente sulla vita degli atenei. Ciononostante, il G8 University Summit poteva davvero rappresentare un’occasione almeno per parlare di università e ricerca scientifica con il contributo di rappresentanti qualificati e motivati e con l’interesse ( almeno auspicato) di un ampio pubblico. Ed invece niente di tutto questo. La vicenda torinese mostra ancora una volta quanto sia difficile e delicato parlare di università e quanti interessi, pregiudizi e distorsioni gravitano dentro e fuori di questa realtà. Tra chi si arroga il diritto di parlare a nome del ' popolo degli studenti' e chi tenta di sfruttare l’occasione per mostrare la necessità di imporre con decisione la propria idea di ' riforma universitaria', non resta davvero alcuno spazio per salvare il salvabile ( cioè la stessa università) e progettare l’avvenire. E così ancora una volta molto rumore per nulla…

Christian Grasso Avignone (Francia)

Purtroppo la cronaca degli scontri prodotti dalla violenza di pochi energumeni – persino la stampa più condiscendente verso l’area della protesta ha alla fine dovuto prenderne atto – ha cancellato l’evento principale, quel '2009 G8 University Summit' di Torino, la cui denominazione (peraltro in sequenza con quella dell’incontro svoltosi l’anno scorso in Giappone a Sapporo) ha agito da drappo rosso per gli animi sempre pronti a esagitarsi dei professionisti del tumulto. Un risultato disastroso, di cui le vittime, ancor prima dei rettori o dei cattedratici, siete voi studenti e ricercatori; chi ha bisogno di un’università seria, moderna, efficiente perché le chiede stimoli, strumenti, opportunità culturali e professionali in grado di alimentare un percorso di vita corrispondente alle proprie aspirazioni e capacità. E così il risultato del confronto, quella 'Dichiarazione sull’educazione e la ricerca per uno sviluppo sostenibile e responsabile' sottoscritta dai 41 rettori di università di tutto il mondo, è praticamente scomparsa sotto il tumulto scatenato avverso alle forze dell’ordine; è stata sovrastata dal bilancio dei feriti e dei contusi, tutti in divisa. Un’occasione rovinata, che va a vantaggio solo di chi mira al «tanto peggio, tanto meglio». È mortificante, ma forse bisognerà rassegnarsi a svolgere vertici internazionali, anche quelli non a carattere politico, in località sempre più inaccessibili e presidiate. Ben triste epilogo, specie riferito al mondo universitario, che ha nel cosmopolitismo, nell’apertura e nello scambio delle persone una caratteristica originaria, vissuta fin dai primissimi «studium» medievali. Dall’universalità aperta e curiosa, alla blindatura tetra e segnata dalla violenza. Triste davvero. Ma la democrazia non può cedere il campo a poche decine di imbecilli violenti e a un’«onda» che si va riducendo sempre più a scontata e limacciosa increspatura protestataria: gli studenti – anche le recentissime elezioni universitarie lo dimostrano – sono altri rispetto a quelli scesi in piazza nei giorni scorsi, e i problemi pure. Archiviato il summit – con l’impegno a rileggerne il documento – restano i problemi della nostra università. Qui vorrei essere meno sconsolato delle sue conclusioni, ma al momento non sono in grado di esibire prove: speriamo il tempo le produca.

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