Finalmente la gran scossa
giovedì 28 maggio 2020

Ce l’eravamo detti: grandi prove possono dare la scossa per aiutare a superare barriere che appaiono insuperabili. Così è stato dopo la Seconda guerra mondiale con la nascita della Comunità del carbone dell’acciaio, punto di partenza dell’Unione Europea. Così sta accadendo adesso, mentre siamo ancora alle prese con la pandemia. Seppure il processo sia ancora in corso, molto è già cambiato e la crisi più drammatica dalla Seconda guerra mondiale a oggi ha convinto i Paesi membri della Ue ad addentrarsi in terreni macroeconomici sconosciuti superando resistenze e ritrosie e rendendo ormai obsoleti vecchi cliché come quello sulla politica europea della Germania che conosce solo il tasto dell’austerità e del pareggio di bilancio.

I fatti. Dall’inizio della crisi c’è stato il via libera sul deficit, l’offerta di prestiti attraverso il Mes a tassi minimi e senza condizionalità (seppure come credito privilegiato e quindi con priorità di restituzione), il fondo Sure per finanziare le casse integrazione nazionali (100 miliardi di risorse complessive coperte da garanzie nazionali), un fondo creato dalla Bei che con 25 miliardi di garanzie degli Stati nazionali prende a prestito 200 miliardi sui mercati finanziari per prestiti prevalentemente a piccole e medie imprese. In tutti e tre i casi la raccolta di risorse sui mercati finanziari avviene a livello comunitario e ci fa quindi forti di un livello di reputazione (che si riflette in termini di minor costo del credito) superiore a quello del nostro singolo Paese. Non c’è mutualizzazione del credito, ma mutualizzazione della reputazione sì.

La parte del leone la sta in realtà giocando la Banca centrale europea con il piano pandemico di acquisti sul mercato secondario che tiene basso lo spread e il costo delle nuove emissioni di debito pubblico italiano. La Bce dovrebbe arrivare quest’anno a detenere fino a 600 miliardi di nostri titoli pubblici e ci retrocederà i proventi da interesse con una vera e propria (ancorché parziale) forma di superamento del divorzio tra Tesoro (spesa pubblica) e Banca centrale. La Banca centrale offre inoltre alle nostre banche la possibilità di raccogliere denaro (che andrà poi prestato a famiglie e imprese) al meno 1% (per intenderci le banche prendono 100 e restituiscono 99), abbassando in tal modo i nostri tassi sui prestiti alla clientela.

La svolta più grande però è quella del Recovery Fund. Germania e Francia avevano proposto 500 miliardi a fondo perduto raccolti sui mercati finanziari e restituiti a 30 anni con i fondi del nuovo bilancio comunitario. Quattro Paesi hanno fatto resistenza, chiedendo che gli interventi fossero prestiti e non a fondo perduto, ma la Commissione con la sua proposta ha rilanciato alzando il totale proposto a 750 miliardi seppure accettando l’idea di un misto tra le due forme (fondo perduto e prestiti). All’Italia andrebbero più di 170 miliardi divisi tra le due forme. Questo piano contiene oltre alla mutualizzazione del debito un altro punto fondamentale. Il finanziamento dell’iniziativa dovrebbe arrivare da un’imposta comunitaria sulle emissioni dei prodotti importati in Europa, dalla web tax e da una tassa sulle transazioni finanziarie. Il vero problema dei nostri tempi, come spesso sottolineato, è infatti la corsa al ribasso su costi ambientali, del lavoro e fiscali che spinge le grandi aziende a delocalizzare nei Paesi dove gli sconti sono più allettanti. L’Unione Europea che ha regole più stringenti e virtuose (come le aste per i diritti d’inquinamento) rischia così di pagare dazio. Stabilendo sui prodotti in entrata imposte sui consumi in proporzione al grado di (in)sostenibilità ambientale (come nella proposta della Border carbon tax) la Ue può evitare questo non trascurabile effetto collaterale delle sue politiche in favore dell’ambiente, trovando al contempo una fonte importante di finanziamento delle proprie politiche fiscali.

Sarebbe una vera e propria chiusura del cerchio a cui accompagnare un doveroso percorso di armonizzazione fiscale interna, perché la concorrenza fiscale tra Paesi membri rischia di riprodurre lo stesso problema entro i confini dell’Unione. Un problema da far presente alla 'virtuosa' Olanda (furba più che frugale), che su questo ha costruito una parte della sua fortuna di bilancio, nel momento in cui si oppone con Svezia, Austria e Danimarca alla proposta franco-tedesca sul Recovery Fund.

Molto spesso nella vita ci vogliono tragedie comuni per superare pregiudizi e ostacoli e unire persone e popoli colpiti da uno stesso destino. Il nuovo cammino è iniziato, speriamo arrivi a compimento.

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