venerdì 1 aprile 2016
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​Caro direttore,
alcuni giorni fa ho letto con immensa gioia sul nostro giornale (sono abbonato ad "Avvenire" da venti anni) della conclusione dell’itinerario catechistico in tante diocesi, dove – la notte del Sabato Santo – tanti catecumeni adulti hanno ricevuto i sacramenti della iniziazione cristiana. Anche nella Diocesi di Pescara-Penne undici adulti, in maggioranza provenienti dai Paesi balcanici, hanno ricevuto questa grazia. In particolare, desidero testimoniare la crescita – come cittadino e come cristiano – del giovane Niklekaj Aurel, albanese di famiglia cristiana, che non aveva potuto ricevere il battesimo nel suo Paese a causa dell’antico regime dittatoriale e ateista. Ho conosciuto Aurel un anno fa, perché mi era stato segnalato da un’amica pescarese e neocatecumenale per aiutarmi in alcuni lavori in giardino. Mi colpì la sua mitezza e il suo assillo a conoscere meglio Gesù: mi tempestava di domande: «Perché Dio si è fatto uomo? Perché è stato ucciso Gesù?...». E mi confidava che da quando aveva conosciuto Gesù si sentiva felice, che lo rincuorava pensare alla morte non come la fine di tutto, ma come il passaggio alla vita eterna. Nel cercare di rispondere alle sue domande, non nascondo di essere cresciuto nella fede insieme a lui. Che stia per cominciare la ri-evangelizzazione dei nostri Paesi occidentali attraverso i fratelli migranti dall’Est europeo e dal Vicino Oriente?
 
Benito Crea, Torrevecchia Teatina (Ch)
Ho letto con piacere e gratitudine la sua lettera, caro amico. Mi sembra che lei, con semplicità ed efficacia, con poche parole e una sola domanda, contribuisca a rovesciare un radicato luogo comune: che gli immigrati arrivando a vivere con noi ci portino via spazio e cultura e nulla di prezioso ci diano o ci restituiscano, mentre è vero l’esatto contrario sia sul piano materiale sia su quello morale e spirituale. I cristiani – non solo cattolici, ma appartenenti a diverse confessioni – che si sono trasferiti in Italia per sfuggire alle persecuzioni o per dare un futuro degno alle proprie famiglie sembrano quasi non esistere, e invece ci sono, sono tanti e rappresentano una parte fondamentale delle migrazioni in corso. Che a livello di stampa quotidiana quasi solo su queste pagine viene colta, raccontata e valorizzata. Testimonianze apparentemente minuscole come la sua, aiutano perciò a tenere aperti gli occhi su una realtà che, per la verità, sembra non interessare affatto a un sistema dei mass media nel quale si giudica "notiziabile" la conversione di qualche italiano a questa o quella religione esotica ma non l’incontrarsi o il ritrovarsi nella fede in Gesù Cristo di persone che arrivano dai deserti umani e spirituali creati dall’ateismo di Stato o dai deserti di ingiustizia che sono il frutto di guerre, sopraffazioni ed estremismi di ogni tipo: politici, economici e purtroppo anche religiosi, come la follia del jihadismo islamico ci ricorda tragicamente quasi ogni giorno. Continuiamo a dirci che "le vie del Signore sono infinite", come quelle dell’evangelizzazione, cioè – dice papa Francesco – dell’annuncio gioioso e dell’accoglienza altrettanto lieta del Vangelo nella vita nostra e di coloro che abitano con noi la «casa comune».
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