venerdì 15 aprile 2011
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E dagli con l’intervento politico-­legislativo per il controllo dei libri scolastici di storia (e perché non di letteratura o filosofia?)!È di pochi giorni fa l’invocazione da parte di 19 deputati Pdl d’una apposita Commissione d’inchiesta. È una questione che ricorre ciclicamente nelle nostre cronache politico-culturali, e che presenta due aspetti diversi. Primo: d’accordo, nelle nostre scuole vi sono libri di testo tendenziosi e non di rado faziosi; secondo: dunque prepariamo un monitorio "Elenco" (come fatto nel 1938 con i testi di autori ebrei)? Passiamo al testo unico per la scuola media?Evidentemente il rimedio non va; non si combatte la faziosità con la censura (neanche sotto spoglie diverse, tipo "verifica della correttezza/completezza dell’informazione"; a maggior ragione in un Paese come il nostro che dal dopoguerra ad oggi annovera ininterrotti e spesso ignorati casi di vero e proprio intervento censorio).Nel merito della vicenda, l’innesco polemico è offerto da giudizi su Berlusconi (come nel 2000 dai silenzi sulle foibe); ma si ha idea di quanti argomenti andrebbero riproposti a seguito del progresso degli studi ma che, non apparendo immediatamente "politicizzabili", non richiamano attenzione mediatica? Volendo se ne riparlerà. Il problema non è tuttavia solo italiano, né solo odierno. Si pensi allo sconvolgimento scolastico provocato dal radicale cambio di regimi in Germania in 25 anni: da Weimar al nazionalsocialismo alla democrazia di Adenauer e, dall’altra parte del Muro, nella Ddr di Pankov. Problema che torna oggi a seguito della fine dell’Urss: all’immediata reattività anticomunista ha fatto seguito una tendenza più nazionalista che recupera temi di antica matrice patriottica-sovietica; non certo negli Stati snazionalizzati dall’Urss come quelli baltici. Analogamente in Giappone: la "revisione" dei testi scolastici nell’immediato dopoguerra cede ora a riconsiderazioni riduttive della "responsabilità" nazionale nell’origine del secondo conflitto e delle efferatezze nella condotta della guerra (e sui prigionieri di guerra).La «memoria condivisa» è solo un appello politicamente obbligato delle autorità istituzionali, ma è un mito scientificamente inaccettabile, fintanto che ci sarà libertà di ricerca e di pensiero (anche fazioso). E poi non dimentichiamo le critiche che hanno provocato le soluzioni imposte dall’intervento legislativo nel campo degli studi storici: diverse leggi francesi (leggi, non pareri o inchieste) tra il 1990 e il 2001 prevedono condanne contro la negazione della storicità di genocidi come quello ebraico e/o armeno.Ottime intenzioni, ma pericolosamente speculari: in Turchia a farsene evocatori si rischia l’accusa di denigrare l’identità nazionale, i libri di testo ne risentono nazionalisticamente. Ottime intenzioni, ma soggette al variare di maggioranze parlamentari e a forzature politico­culturali: in Francia, nel 2005, si è aggiunta la legge che prevede la valutazione positiva del colonialismo metropolitano in particolare in Nord Africa; necessario adeguare i testi scolastici? Pierre Nora guidò con l’associazione Liberté pour l’Histoire un coro di proteste e polemiche.Torniamo a noi: il problema sollevato dall’iniziativa parlamentare rileva la persistenza di un 'mercato' culturale egemonizzato dalla sinistra (ma gli editori di quei contestati manuali appartengono a gruppi industriali di tutt’altro segno politico che dunque lucrano a destra da quel mercato). Ma soprattutto quella proposta rivela la debolezza, anzi l’assenza di una cultura alternativa cui la dirigenza politica di riferimento non ha dedicato spazio né tempo (ma 'poltrone'), salvo lamentarsi e progettare rimedi ostativi. Una cultura vince solo se ha una propria forza intrinseca capace di esprimere qualcosa anche, anzi soprattutto in un contesto avverso e scorretto e (noiosamente) egemone.
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