Evento europeo a Basovizza e Trieste
martedì 14 luglio 2020

Un grande evento europeo. Un passo deciso verso il futuro, in uno dei luoghi dove il passato ha pesato di più. Li hanno realizzati il presidente italiano, Sergio Mattarella, e il presidente sloveno, Borut Pahor, con la visita congiunta alla foiba di Basovizza e al monumento agli antifascisti sloveni uccisi nel 1930, insieme alla restituzione del Narodni dom, bruciato dai fascisti il 13 luglio 1920, alle comunità slave di Trieste. I massimi rappresentanti istituzionali d’Italia e Slovenia hanno così preceduto le rispettive società civili sulla strada di una riconciliazione che ha valenze, appunto, europee. Davanti alla foiba di Basovizza, per la prima volta un Capo di Stato della ex Jugoslavia ha reso omaggio alle vittime dei miliziani comunisti di Tito. Si è molto discusso se si sia trattato di pulizia etnica o, come appare più fondato, di violenza politica, ma da ieri ciò che più conta è che gli eredi istituzionali di chi ha compiuto quel massacro hanno realizzato un gesto pubblico di riparazione. Non meno importante, è stata la restituzione del

Narodni dom alle comunità slave di Trieste, altro gesto riparatore, nel ricordo dell’incendio della 'Casa della cultura slava', battesimo di quello squadrismo che, secondo gli storici, ha costituito il vero fascismo. Con furia xenofoba, cento anni fa venne scavato un abisso insuperabile tra italiani e slavi: l’intento era colpire a morte la convivenza tra popoli diversi proprio a Trieste, uno dei luoghi simbolo del cosmopolitismo europeo. Riconsegnando le chiavi del Narodni dom, Mattarella ha restaurato idealmente la natura multinazionale di questa bellissima città.

Molto significativo, infine, l’omaggio congiunto ai quattro slavi condannati a morte dai fascisti, considerati traditori dagli italiani e patrioti dagli slavi. Oggi, negli Stati Uniti e in altri Paesi del mondo si tende ad azzerare la storia distruggendo statue e memorie di tempi diversi dal nostro. È una rimozione che non libera il presente dalla violenza e non costruisce un futuro pacifico. Mattarella e Pahor hanno invece esercitato al meglio l’arte europea di maneggiare con sapienza i contenuti potenzialmente esplosivi della storia. Fino a oggi, sul 'confine orientale' d’Italia è prevalso il conflitto delle memorie: il solo ricordo delle vittime altrui veniva considerato offensivo nei confronti delle proprie. Riguardo a quelle delle foibe, un percorso nuovo è cominciato con l’istituzione del giorno del ricordo il 10 febbraio. Ma è stata una partenza infelice: per la coincidenza con il giorno della firma dei Trattati di Pace – come se i problemi degli esuli giuliani fossero cominciati con la pace e non con la guerra – e per la vicinanza al 27 gennaio, giorno della memoria in cui si ricorda la tragedia della Shoah, che ha favorito una sorta di 'concorrenza' tra le vittime. Ieri, invece, a Trieste, Mattarella e Pahor hanno condiviso la memoria di tutte le vittime e fondato su tale condivisione un legame nuovo. Hanno anche aperto la strada allo scioglimento del nesso, finora molto forte, tra memoria delle vittime italiane e silenzio sulle violenze fasciste e, viceversa, tra memoria delle vittime slave del fascismo e silenzio sulle responsabilità dei comunisti.

Mattarella e Pahor, infine, hanno vigorosamente contrastato la maledizione dei nazionalismi. Hanno infatti preso posizione su una grande questione dei nostri tempi, spesso alimentata da usi impropri della storia: quella dei confini. In tutto il mondo, le spinte nazionaliste – o, come si dice oggi, sovraniste – cercano di trasformare spazi di sovrapposizione e di incontro tra popoli diversi, le frontiere, in barriere insuperabili che contrappongono i popoli. I due presidenti hanno invece mostrato la via maestra della relativizzazione dei confini entro un comune spazio europeo. Lo hanno fatto in un momento particolarmente opportuno, mentre l’Unione sta mostrando segni di inattesa vitalità. Le radici profonde dell’unità europea, infatti, non coincidono con un progetto economico condiviso, ma si collocano anzitutto nel rifiuto della violenza che ha insanguinato l’Europa .

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