venerdì 13 marzo 2009
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Caro Direttore, si è tanto parlato e scritto sul caso Englaro e si continua ancora e così io aggiungo la mia. Io sono per l’eutanasia. Quanti medici già la praticano? Nessuno ne parla! Riporto un caso personale, non immaginato ma reale: mio cognato aveva il cancro ai polmoni e da due anni ricadeva sempre più spesso in orribili sofferenze. Era stato ricoverato in ospedale per l’ennesima volta. Noi familiari eravamo ad assisterlo. Lui continuava stremato a lamentarsi penosamente. Arrivò un’infermiera e gli fece un’iniezione e subito si calmò, ma dopo una decina di minuti spirò. Noi tutti capimmo che a decidere della sua fine fu quell’iniezione, ma tutti noi non denunciammo il caso, anzi condividemmo tale decisione, perché almeno lui terminò quella brutta sofferenza e quell’orrendo calvario. Un fatto del genere non sarà certamente il solo ed in questi casi io dico grazie all’umanità dei medici. Questa è pura eutanasia, cioè la sorella morte serena e dignitosa. Quando non ci sono più speranze e rimane solo un futuro di sofferenza, questa liberazione va fatta. Nel caso di Eluana io sto col padre: bisogna viverle quelle esperienze per giudicare. Visitate gli ospedali e in particolare certi reparti! E poi la legge assurda che proibisce la pubblicazione delle foto reali di quella creatura, sembra fatta apposta per impedire che si conosca la realtà vera. E non facciamo anche qui una questione politica e religiosa, ma ognuno scelga la sua di umanità, solo che anziché interromperle gli alimenti io sarei stato d’accordo a quella santa iniezione. Valutate anche ciò che ha detto il Dalai Lama. I giornali hanno fatto un solo trafiletto. Lui disse che in assenza di un recupero mentale, da loro non fanno stupidi accanimenti ma seguono la natura. Questo governo non farà nulla per l’eutanasia, ma mi auguro che qualcuno proponga un referendum per introdurla anche in questo Paese. Sarebbe un vero segnale di civiltà e di realistica umanità.

Rosolino Peressini, Udine

Se lei ci legge, può agevolmente comprendere che la sua richiesta da noi non troverà sponde compiacenti. Il nostro no all’eutanasia è totale e inesorabile. La radicalità della nostra opposizione non è però pregiudiziale, frutto di cecità ideologica, ma risultato della convergenza tra la convinzione profonda della dignità insopprimibile dell’uomo in ogni fase della sua vita, e il rilievo compiuto proprio nella vicinanza a quanti vivono il momento estremo della propria esistenza e che, salvo eccezioni rarissime – come abbiamo accuratamente documentato – mai chiedono di essere aiutati a morire, mentre implorano che il dolore sia sedato e di essere circondati di umanità. Lei non è il solo che va per ospedali, non è il solo a cui capitano certe esperienze. E comunque, nonostante la sicurezza che lei esibisce riguardo la dolorosa vicenda di suo cognato, mi permetta di dubitare che le cose siano andate esattamente come descritto: mi pare poco plausibile che un medico e un’infermiera possano aver rischiato tanto, in presenza addirittura di familiari di cui non potevano prevedere la reazione. Se anche uno solo di voi avesse sporto denuncia, ciò avrebbe comportato l’autopsia, con tutto ciò che ne sarebbe seguito (cioè la galera). È una logica elementare che mi induce a dire che, qualora vi fossero interventi deliberatamente volti ad accorciare la vita di un paziente, questi avverrebbero con modalità più subdole di quella da lei descritta. Stiamo attenti, quindi. L’idea secondo cui fare spazio all’eutanasia sarebbe «un vero segnale di civiltà e di realistica umanità» è solo farneticante. Sono convinto che l’esito sarebbe esattamente l’opposto: un’autorizzazione ad abusi crescenti, una devastazione sociale con i più deboli ancora una volta vittime predestinate. È una deriva che va strenuamente combattuta senza lasciare spazio a quanti vedono in essa la via semplice per ridurre i costi della sanità, liberare letti nelle lungo degenze, indurre quelle 2.500 famiglie che assistono pazienti in stato vegetativo a sentirsi zavorre il cui unico riscatto è consentire di liberarsi del loro caro. Se necessario, ci batteremo con determinazione intransigente. Lei fa benissimo a stare con il padre di Eluana, se questo dice la sua coscienza. Io peraltro non sono contro il signor Beppino, semplicemente osservo che nella cultura in cui viviamo non s’era mai visto un padre chiedere con tanta ostinazione la morte di un figlio. Non giudico perché l’abbia fatto, osservo solo che il peso concreto della situazione della figlia non gravava sulle sue spalle, né sulle sue tasche. Cosa dovrebbero dire coloro che sono meno coadiuvati di lui? È tempo di guardarsi negli occhi noi credenti e dircelo chiaro: finiamo con le auto-indulgenze che arrivano alle auto­assoluzioni. La saluto.

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