sabato 21 dicembre 2013
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È un tempismo perfetto quello con cui ieri Standard&Poor’s ha reso noto di aver declassato il bilancio dell’Unione Europea. Ma come è possibile? – si sono chiesti in molti – l’Europa ha appena raggiunto uno storico accordo sull’unione bancaria e l’agenzia americana di valutazione del rischio di credito è già pronta a bocciare tutta la Ue? Il sospetto di un complotto finanziario internazionale a opera di quei discussi e ambigui soggetti che sono le agenzie di rating s’è innescato in modo automatico. E non a caso la stragrande maggioranza delle reazioni al downgrade ha seguito la traccia della decisione in malafede. L’Europa ha rispedito subito al mittente la bocciatura del proprio bilancio (tra l’altro: non ne esiste uno più noioso e stabile di quello Ue, mai in deficit e privo di debito), rifiutando una valutazione giudicata «incomprensibile». Complotto? Perché no? Le agenzie di rating in fondo avrebbero molte valide ragioni per volersi vendicare della vecchia Europa. Dove sono ormai viste come il braccio armato di grandi fondi di investimento, che in un imbarazzante conflitto di interessi oltretutto le controllano. Perciò, ad esempio, con la riforma che sarà in vigore tra pochi giorni, saranno costrette a diffondere i loro giudizi sui debiti sovrani in date precise e a mercati chiusi, e potranno essere portate più facilmente in tribunale in caso di negligenze o errori. Ma il taglio del voto sull’affidabilità dell’Ue può anche essere interpretato come il modo per far pagare a tutti noi il prezzo della scommessa speculativa persa contro il fallimento dell’euro. Questi scenari non sono irrealistici e non vanno sottovalutati. In quello che più volte abbiamo descritto come un contesto di "guerra" finanziaria ed economica, condotta con armi non classificate come tali ma non per questo meno dannose, operazioni di tal fatta hanno il loro significato. Tutto si tiene se la realtà ci racconta di un conflitto tra Stati e potentati economici transnazionali, di entità private che dispongono di capitali ampiamente superiori a quelli di un grande Paese. Si pensi solo che le quattro maggiori banche del mondo muovono 200mila miliardi di dollari in contratti "derivati" di natura speculativa, quando il Pil di tutto il pianeta non raggiunge i 70mila miliardi. O, molto più in piccolo, alla difficoltà che i governi incontrano nel varare una equa ed efficace tassa sulle transazioni finanziarie. Ma le guerre vanno anche affrontate con lucidità. L’accusa legata al tempismo viene a cadere se si tiene conto che le istituzioni a Bruxelles erano state avvisate già a inizio settimana della bocciatura in arrivo, dovuta al fatto che «la credibilità complessiva dei Paesi Ue in materia di credito è indebolita, il loro profilo finanziario deteriorato e la coesione allentata». E allora, guerra o no, l’Europa farebbe bene a porsi seriamente il problema di cosa fare per essere ancora meno attaccabile di oggi. In questo senso ha risposto bene il premier italiano Enrico Letta rilevando che il downgrade «è un segnale da non sottovalutare perché la crisi non è ancora tramontata». Nella grande savana della speculazione ha poco senso prendersela con le iene o gli avvoltoi se chi appartiene al nostro branco è stato ridotto a carcassa dai leoni. Una crisi – una guerra – come questa, va disinnescata più che combattuta. Ricorrendo principalmente a strumenti di pace. Tutti sappiamo che l’euro è una moneta costruita male, nata come somma di egoismi convergenti dei singoli Paesi e ancora oggi vittima, come la costruzione europea, dei nazionalismi e dei sospetti incrociati.L’accordo sull’unione bancaria è un passo importante, tuttavia incompleto, mentre di molte altre "unioni" e "integrazioni", oltre che di solidarietà, vi è ancora bisogno in Europa. Durante la crisi argentina del 2001-2002, l’allora cardinale di Buenos Aires Bergoglio si trovò in diverse occasioni a citare il poema epico nazionale "Martin Fierro", e tra gli spunti di riflessione che trasse dalle vicende del gaucho protagonista vi era un passaggio contenente una verità molto semplice: i fratelli che si fanno la guerra tra loro vengono divorati facilmente dai nemici esterni. Restasse ferma dov’è, l’Europa, allora avrebbe pienamente ragione Standard & Poor’s con la sua bocciatura.

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