giovedì 6 dicembre 2012
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Di fronte a una situazione potenzialmente esplosiva, il Governo Monti è intervenuto sull’Ilva di Taranto mettendo di fatto in mora la magistratura. La vicenda è complessa e mobilita temi di grande interesse generale, quali tutela della salute, del lavoro e del territorio. Si tratta di problemi che per la loro portata travalicano la situazione locale dei lavoratori Ilva e della città di Taranto, investendo l’economia nazionale, la politica industriale, la salvaguardia dell’ambiente, i rapporti tra le istituzioni. E la ricerca di un equilibrio tra le diverse esigenze che si contrappongono è quanto mai difficile.  Il Governo, consapevole della difficoltà a trovare una sintesi, ha scelto di intervenire con lo strumento del decreto e anch’io ritengo che abbia ben operato. Non vi erano infatti altri strumenti per intervenire d’urgenza, prima che le tensioni sociali diventassero incontrollabili, senza tuttavia rinunciare al dovere di difendere la salute e l’ambiente. A questo scopo, mentre viene assicurata la continuità della produzione, il decreto impone alla proprietà dell’azienda una precisa roadmap per il risanamento del sito industriale. Allo strumento del decreto legge si è fatto crescente ricorso da parte dei Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, fino a farne un vero e proprio abuso, come più volte lamentato dalle opposizioni parlamentari e dallo stesso capo dello Stato. Il decreto legge tuttavia resta uno strumento insostituibile per i casi in cui l’intervento legislativo riveste carattere d’urgenza. Ferma restando l’opinabilità delle scelte adottate, è certo tuttavia che nel caso dell’acciaieria Ilva sussistessero tutti gli elementi atti a qualificare l’urgenza dell’intervento. Come è prassi consolidata, giusto o non giusto che sia, gli atti di decretazione d’urgenza vengono sottoposti dal governo alla preventiva valutazione del presidente della Repubblica, per allontanare il rischio che egli possa rifiutarsi di emanarlo. È quindi ipotizzabile che la disponibilità del presidente Napolitano ad apporre la sua firma sia stata anticipatamente ricercata anche in questo caso e che essa sia stata da lui assicurata, riconoscendo l’urgenza del provvedimento. E ciò malgrado che l’intervento governativo corresse il rischio di sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e prestasse il fianco perfino a rilievi di possibile incostituzionalità. Non è privo di significato ricordare, oggi, che un’analoga disponibilità di Napolitano non fu riscontrabile in occasione del decreto con cui il Governo Berlusconi, seppur tardivamente, tentò di fermare la macchina giudiziaria che avrebbe portato a morte Eluana Englaro. Certamente, anche in quella circostanza si correva il rischio di un conflitto di attribuzione tra poteri dello stato. A differenza che nella vicenda attuale, tuttavia, il conflitto era stato originato da sentenze 'creative' di alcuni magistrati, in dissonanza con il nostro ordinamento giuridico. Più di oggi, senza dubbio, il decreto avrebbe posseduto tutte le necessarie caratteristiche di urgenza, come dimostrato ex­post dalla morte della ragazza, inevitabilmente avvenuta a distanza di pochi giorni. Nel nostro mondo però il potere di rappresentanza sindacale è più forte di quello di una grave disabile senza voce e della battaglia 'politicamente scorretta' di chi ricordava che terze persone stavano decidendo di far morire una persona viva e non una «già morta», e il capo di un grande Paese non può non essere uomo di mondo... Tra realpolitik e radicate visioni personali.
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