domenica 31 ottobre 2010
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Le due festività cristiane, quella di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti dei primi giorni di novembre, presentano un contenuto antropologico spesso vissuto intensamente a livello personale e collettivo, a volte senza rendersene conto. Entrambe le ricorrenze hanno radici remote, la prima nel cristianesimo orientale e recepita già da papa Bonifacio IV quando, nel 609, trasforma il Pantheon, dedicato agli dei dell’Olimpo, e consacra la nuova chiesa in onore della Vergine e tutti i Santi. Ma la festività universalizza la svolta storica e spirituale che il cristianesimo aveva realizzato sin dagli inizi nei confronti delle mitologie pagane. La visione beatifica, riservata a coloro che fanno la volontà del Padre, irrompe nella storia del pensiero e cancella la mestizia e la malinconia dell’oltretomba pagano. Chi conclude la propria esistenza camminando sulle vie del Signore non è più una pallida ombra dell’Ade, destinata a peregrinare in territori sconosciuti e tristi, fin quasi a far rimpiangere la terra, ma realizza il compimento dell’essere ricongiungendosi con il Dio creatore e la visione beatifica che non avrà fine. In questo modo l’uomo si riempie di speranza, sente dentro di sé una nuova spinta ad agire bene perché così facendo pone le basi per il proprio destino eterno, e secondo le parole di Teilhard de Chardin ciascuno di noi costruisce la propria anima tutti i giorni nel corso dell’esistenza terrena. Movendo dalle radici ebraiche, il cristianesimo porta in cielo le anime dei giusti, e la santità, come esercizio sommo delle virtù cristiane, testimonia nel tempo la possibilità di realizzare la "vita buona" annunciata dal Vangelo, e raggiungere la meta celeste promessa dalle Scritture. L’evento cristiano nella sua totalità sta a dimostrare che la santità è possibile, e riflette una delle più alte motivazioni dell’homo faber che è si è fatto costruttore di storia, di spiritualità, di traguardi umani ed etici in ogni campo della conoscenza e dell’azione.Anche la ricorrenza dei defunti ha origini orientali, ma si è concretizzata soprattutto per merito dell’Abbazia di Cluny, protagonista della rinascita cristiana tra il IX e il X secolo, e che si era quasi "specializzata" nella preghiera e nella liturgia a favore dei familiari dei fedeli, che erano scomparsi. È Odilone, quinto abate di Cluny, che istituisce nel 988 la preghiera per tutti i defunti, aprendo la strada al successivo riconoscimento della Chiesa di una ricorrenza che stabilisce un rapporto intenso tra i cristiani viventi e quanti hanno superato la soglia dell’aldilà. La commemorazione dei defunti è, per se stessa, intrisa di una umanità densa che mischia il dolore alla memoria, il ricordo personale e familiare alla speranza di un ricongiungimento che ha radice nell’intimo della coscienza anche se non sa esprimersi in modo compiuto. Rispetto alle religioni naturali e alle tante consuetudini di memoria sparse nel mondo e in ogni cultura, il cristianesimo opera una delle più grandi trasformazioni spirituali e antropologiche, e trasfigura la morte impedendole di annientare l’uomo. Per i cristiani, l’esperienza della morte non cancella il dolore, ma lo sublima in un cammino fatto di speranza e di preghiera, tiene saldi il ricordo e il legame con coloro che ci hanno dato la vita e ci hanno preceduti, e ce li fa sentire come presenze vere che non frantumano il filo delle storie individuali e familiari, ma lo collocano a un livello più alto ed evitano il rischio che si spezzi. È difficile calcolarlo in astratto, ma gli scienziati della psiche sanno quanto queste convinzioni di fede diano forza interiore a chi crede.Con la festa di Ognissanti e la ricorrenza dei defunti il cristianesimo conferma che l’esistenza individuale e i rapporti che si stabiliscono tra le persone non sono frutto della casualità e non periscono insieme con la fine della materialità, ma sono parte integrante di un disegno più ambizioso che merita di essere preso sul serio. Ogni volta che ricordiamo coloro che abbiamo perso pensiamo, quasi istintivamente, al significato complessivo della loro vita e delle loro opere, ci sentiamo protagonisti di un impegno decisivo per il nostro destino. Anche per questo motivo, i cristiani vivono le ricorrenze di questi giorni con un amore e una umanità di cui non v’è traccia in altre celebrazioni chiassose e senza storia che assumono sapore neo-pagano e mancano dell’afflato spirituale proprio dei sentimenti che nascono dal profondo dell’animo.
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