Ecco la vera priorità
domenica 19 luglio 2020

Superata l’emergenza sanitaria – quando ci siamo sentiti tutti sulla stessa barca di fronte al pericolo imminente del virus – ora il sentimento di solidarietà rischia velocemente di svanire. Trasformandosi in indifferenza per alcuni (prima) e in rabbia per altri (poi). Oggi la situazione è già molto cambiata: c’è chi non ha perso nulla e addirittura c’è qualcuno che ci ha guadagnato; altri hanno una condizione economica e lavorativa protetta e, pur con qualche apprensione, continuano la loro vita di prima. E poi ci sono i tanti che, avendo perso il lavoro o chiusa l’attività, si trovano in seria difficoltà. Già adesso si conta che siano andati perduti 400mila posti di lavoro. E guardando avanti – quando il blocco dei licenziamenti terminerà – i numeri sono destinati a lievitare. Secondo l’Istat, nel 2020 si perderanno più di 2 milioni di posti di lavoro, poco meno di 1 su 10.

Dunque da un lato, quelli che erano già poveri lo saranno ancora di più. E per molti di loro, la strada per uscire dalle difficoltà si allontana indefinitamente; dall’altro, aumenterà la schiera dei nuovi poveri, in cui affluiranno i tanti precari (soprattutto giovani e donne): molti – per lo più italiani – si ritroveranno per la prima volta in una condizione di indigenza.
A differenza di quanto accaduto con l’emergenza sanitaria, però, né i telegiornali né i social mostrano le immagini di chi si trova in difficoltà. Come se non fosse un problema di tutti, ma solo di qualcuno. E per sapere come stanno le cose bisogna avere il coraggio di visitare un centro di ascolto della Caritas o qualche periferia urbana. Col rischio che questa nuova emergenza – ugualmente drammatica – non risulti reale semplicemente perché non è vista e condivisa. Occorre combattere con decisione questo mutamento già in atto perché la solidarietà sarà una compagna fondamentale per attraversare il tempo che viene.
A inizio autunno, quando le misure varate dal governo nell’emergenza termineranno, sarà necessario decidere quali azioni adottare per contrastare il processo di impoverimento. Già oggi si levano voci che chiedono di ridurre i flussi destinati alla protezione sociale e di concentrare le risorse per il rilancio dell’economia. Ma contrapporre questi due obiettivi è un errore. Per l’Italia – come per le altre democrazie occidentali – la sfida da vincere è quella di non seguire il percorso che, per alcuni aspetti, sembra già segnato: crisi sanitaria che diventa crisi economica da cui scaturisce crisi sociale e che si traduce, infine, in crisi politica.

Per sfuggire a questo destino occorre dosare con intelligenza gli strumenti di protezione – che non possono limitarsi a pochi mesi – e le politiche di investimento e riorganizzazione del sistema economico. La cosiddetta Fase 2 che peraltro ancora stenta non solo a partire ma anche a essere delineata. L’avvio di questa nuova Fase è importantissima per evitare che le misure di protezione si trasformino in assistenzialismo. Ma non si può immaginare che ci possa essere una ripresa economica talmente veloce da assorbire in tempi sufficientemente veloci la sofferenza umana prodotta dal post-Covid. Basta guardare negli Stati Uniti dove la protezione dello Stato è inferiore a quella che si ha in Europa per capire il tipo di problemi a cui si rischia di andare incontro. Il problema, allora, non è dividersi tra protezione e rilancio.

Ma integrare gli obiettivi. Ciò significa lavorare perché con l’autunno si chiariscano meglio gli obiettivi e gli strumenti della protezione sociale e del contrasto a povertà e impoverimenti. Affrontando tre ordini di questioni. La prima ha a che fare col riordino degli strumenti impiegati. Guardando oltre l’emergenza sanitaria, occorre impostare una politica di protezione sociale integrata di medio termine che riduca la selva dei contributi statali e semplifichi i meccanismi di accesso. La seconda questione riguarda il rafforzamento dei servizi di attivazione e formazione. Investire nella persona e nelle sue capacità è il primo e più fondamentale meccanismo di redistribuzione della ricchezza. Pur necessario, il trasferimento monetario non è sufficiente e va accompagnato con servizi veri (e non finti come il fantomatico 'navigator' introdotto col reddito di cittadinanza) di riqualificazione professionale e di orientamento. Spesso chi è in difficoltà non riesce a uscire da solo dalla condizione in cui si trova. Proprio per questo – ed è il terzo piano di attenzione – è necessario che l’azione di contrasto all’impoverimento veda il coinvolgimento non solo dello Stato ma anche della società civile. La solidarietà può sussistere se non è vista solo come un costo o come un compito della pubblica amministrazione, ma se diventa espressione di un modo di stare insieme e di guardare il futuro. Ciò che avevamo capito nei giorni dell’emergenza – e cioè che siamo tutti sulla stessa barca – è la condizione normale dell’umano. Tornare all’idea che ciascuno si salva da sé o che si salva il migliore non può che portarci a nuove disastri.

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