Il «minimo sindacale» per un carcere vivibile e utile
giovedì 28 maggio 2020

Caro direttore,

ho letto l’analisi del procuratore Paolo Borgna sul tema dell’affollamento delle carceri nei tempi del coronavirus e le considerazioni di Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti (“Avvenire”, mercoledì 20 maggio 2020). Mi permetto di aggiungere alcuni elementi che a me sembrano assolutamente necessari e direi preliminari. La prima “ovvietà” che voglio sottolineare è che il funzionamento di una struttura carceraria sia per adulti sia minorile ha bisogno di un direttore, di un numero di educatori con un rapporto di un educatore ogni 50/80 detenuti (molti di più per i minori: 1 ogni 10), di un comandante degli agenti di Polizia penitenziaria, magari anche del cappellano.

In Italia circa quaranta direttori non ci sono, sostituiti da “reggenti” o “facenti funzione”. Per esempio, sono senza direttore titolare alcuni carceri per adulti della Sardegna, è senza direttore da anni il Beccaria di Milano come sono senza direttore i carceri minorili di Torino e di Roma. Senza direttore non c’è progettualità su tempi lunghi, non ci sono stile di gestione e legami definiti con tutte le strutture di servizio o di solidarietà. Il “facente funzione” è per definizione precario e non farà progetti a lunga durata, si limiterà alla gestione dell’esistente e spesso del minimo sicuro.

Più grave ancora è la questione degli educatori, naturali attori del rapporto tra detenuto e la sua famiglia, l’avvocato difensore, la direzione, i giudici. L’educatore fa l’osservazione, scrive le relazioni per poter avere le misure alternative. L’ultimo concorso per sostituzione o per nuove esigenze è di più di quindici anni fa.

Ci si chiede come mai alcuni carceri hanno una recidiva che sta intorno al 20% mentre la maggioranza degli altri ha una recidiva che talora arriva vicina all’80%. In carceri come Bollate, Padova e Verona, e in poche altri istituti di pena di solito ci sono il direttore, un gruppo di educatori motivati, formazione professionale, qualche volta lavoro, ricerca di alloggio all’uscita, etc. Insomma il personale del carcere insieme con gli enti pubblici, quelli del privato e del volontariato cerca di rendere vivibile e utile la carcerazione e costruiscono “un paracadute” per l’uscita.

Io, per iniziare, chiederei per ogni struttura carceraria minorile e per maggiori solo il “minimo sindacale”: un direttore, un numero adeguato di educatori, un numero sufficiente di agenti di Polizia penitenziaria, un importante e articolato rapporto con il territorio, la valorizzazione del privato che lavora in carcere e del volontariato.

Fino a quando non ci saranno queste condizioni minimali (assenti da anni in diversi carceri) , parlare di diritti di riabilitazione, di recidiva è pura teoria. Giusta ma senza radici.

Cappellano del Carcere minorile “Cesare Beccaria”, Milano

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