domenica 31 marzo 2013
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Il volto di Giorgio Napolitano, tanto quan­to le sue parole, ha comunicato assai be­ne, ieri, la lucida preoccupazione e – quasi – l’angoscia con la quale il capo dello Stato sta cercando di preservare l’Italia e la vita degli i­taliani da ulteriori assalti speculativi e di aprire una via d’uscita da una crisi ormai trasfor­matasi in pantano. Lo sta facendo con deci­sioni davvero senza precedenti e che segna­no l’accelerazione del cammino verso una Terza Repubblica che si annuncia tra le ma­cerie politiche di una Seconda Repubblica mai nata davvero e nel pieno di un inverno economico e sociale che si va facendo più du­ro. Siamo, e ci sentiamo, intrappolati in una condizione di collettiva vulnerabilità. E que­sto non solo a causa di un risultato elettora­le che ha smontato il vecchio bipolarismo ris­soso senza cancellarne i protagonisti (e i ben noti conflitti di interessi e interessi al conflit­to), ma per la crescita di peso e di numero di quanti, consapevolmente o meno, spingono non per una saggia riforma del nostro siste­ma ma per un suo rovinoso collasso. Proprio la carenza di “saggezza” dei (e nei) partiti ha portato il Quirinale a selezionare e incaricare dieci “saggi”. Dovremmo, in realtà, aver già scelto 945 saggi, noi tutti, democra­ticamente, lo scorso febbraio, ma ci siamo già resi conto che non è andata esattamente co­sì. Tant’è che l’esito del voto che doveva ri­portare in scena la “politica” sta risospingen­do verso la provvisorietà emergenziale di u­na gestione “tecnica”. Questo significa, a quanto pare, addirittura congelare crisi poli­tica e governo Monti. Un drammatico inedi­to, che non assolve i partiti vecchi e nuovi dai loro doveri. Anzi li ingigantisce. La crisi eco­nomica e sociale, infatti, non si congela. E la Terza Repubblica non può nascere per forza­ture e per disperazione.
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