lunedì 28 luglio 2014
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Un anno dopo me lo vedo ancora davanti, uguale a sempre. Fisicamente piccolo di statura, e magrissimo – un fuscello, lo avresti definito. L’essere invitati alla sua tavola era, per una persona normale, un digiuno quaresimale: minestrina e lattuga. Ma lui mangiava sempre a quel modo. Portava i suoi anni, anche quando superarono i 90, con una sorta di gentile incredulità: «A me – diceva – non sembra di averne tanti».Era nato nel 1914 in una cascina del Piacentino, figlio del «capobifolco» Cesare, e lo ricordava spesso, fiero. E io sarei rimasta ad ascoltarlo per ore: Tonini era la storia di un secolo, viva, davanti a me. Mi appassionava sentirlo raccontare di scioperi dei braccianti, e rosari e processioni, nella sua terra increspata da un vento di rivoluzione. Dubito che l’Emilia di quegli anni fosse un posto facile. Eppure, lui ricordava tutto e ognuno con gratitudine. La madre Celestina, e la maestra che spinse la famiglia a farlo studiare, e i compagni. Possibile, mi chiedevo, che fossero tutti buoni in quella terra sanguigna di inizio secolo? Capii poi che quello sguardo Tonini lo aveva su tutti gli uomini; come non dubitando mai di una Provvidenza che glieli aveva fatti incontrare. Docente in seminario, parroco, poi vescovo e cardinale, Tonini non smise mai di amare il mestiere che non aveva fatto: il giornalista. Il vedere e il raccontare, quindi il testimoniare, era per lui il più nobile dei lavori. Per questo si era appassionato e aveva "custodito" per anni, non solo da presidente, secondo il mandato avuto da Paolo VI, questo giornale: il suo e nostro Avvenire. E credo che proprio all’amore per questa seconda vocazione fosse dovuto il suo entusiasmo, quando Enzo Biagi lo portò in tv.Io lo conobbi in un viaggio in Amazzonia, essendosi Tonini appassionato alla causa degli indios minacciati di estinzione. Un viaggio faticoso, e lui, che aveva già 78 anni, non diede mai segno di stanchezza. Assaggiò con un sorriso l’alligatore bollito che ci offrirono gli indios. Poi i missionari ci condussero in una grande capanna dove uomini e bambini vivevano nella penombra, fra galline e cani, e le donne si stringevano al seno l’ultimo nato. Tonini ne restò incantato: «Questo è il mondo come era al principio», disse, sbalordito e devoto.Aveva straordinaria memoria e profonda cultura. A oltre novant’anni citava a memoria Hegel e Kant in tedesco, e il diritto romano in latino. Ma cosa aveva addosso quell’uomo minuto, per cui così tanti, e anche non credenti, gli volevano bene? Innanzitutto, il respiro ampio di un’Italia povera. E, sopra a questo, una misericordia profonda, che già guardandolo in faccia si intuiva. Quante ne avrà sentite in confessionale, uno che ha detto Messa per 76 anni? Eppure aveva fiducia negli uomini. Mi meravigliava tanto quel suo sguardo, che un giorno gli chiesi dove lo avesse imparato. «Da mia madre – rispose – dal modo in cui lei mi guardava». Come vedendo un bene in fondo a ognuno. Sembrava non avere paura della malattia e del dolore, con cui conviveva all’Opera Santa Teresa di Ravenna, dove poi è morto. Una delle ultime volte che andai a intervistarlo gli chiesi cosa avrebbe detto a Dio, il giorno in cui lo avesse avuto di fronte: «Gli dirò grazie», rispose semplicemente. Grazie, intendeva, di ogni faccia e ogni luogo e ogni incontro; grazie di tutta una vita, dentro a una illimitata fiducia.Gli invidiavo questo respiro generoso, questo slancio di ragazzo del popolo cresciuto con un padre, una madre, molti fratelli e tanti amici; in una cascina emiliana, di quelle grandi e larghe, come ancorate al suolo. Gli ho invidiato le estati tra i campi di grano maturo, e la nebbia come latte di inverni remoti. Mi parlò spesso di questo mondo splendente, agli occhi suoi di ragazzo. Mi disse un giorno, a indicarlo, una parola che non avevo mai sentito: «incantagione». Come una piantagione di incantesimi che si svelavano al suo sguardo bambino. Una bellezza donata e raccolta con venerazione, che ha dato molti frutti. Bellezza di cui don Ersilio – prete, vescovo e infine eminentissimo cardinale – era tenace testimone.
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